“Lo specchio armeno” su La poesia e lo spirito
Paolo Codazzi, Lo Specchio Armeno
Un romanzo che andrebbe prescritto a tutte le “scuole di scrittura” perché, diciamo la verità: non se ne può più della mania per la “paratassi”. Dopo aver sterminato gli avverbi, decimato gli aggettivi e abolito gli incisi, i romanzi sono composti ormai soltanto da frasi scheletriche, con soggetto, verbo e rarissimi complementi, dopodiché ci affretta a fare punto. Possibilmente a capo. Come nel gioco del calcio, dove gli allenatori hanno proibito il dribbling e guai a chi si permette di “andare all’uno contro uno”! Nel suo Specchio armeno Codazzi ci restituisce il piacere della retorica “asiana”, dei periodi simmetricamente costruiti, dove, intorno alla frase che dà il senso del discorso, si aggiungono le informazioni corollarie che i narratori “paratattici” (e gli sforbicianti editor) taglierebbero per principio. Eppure, quelle informazioni sono tutt’altro che inutili, anzi: inquadrano in modo coerente e articolato il mondo in cui si svolge la vicenda, allestiscono una Wunderkammer nella quale il lettore viene trasportato per vivere insieme ai personaggi. Non è proprio questo ciò che chiede il lettore? Ma, si obbietta, non siamo più abituati a questi periodi lunghi una pagina, dove si rischia di perdere il filo, di non capire più chi parla e a cosa si riferisce! E invece basta ritrovare il ritmo di chi ascolta musica classica, di chi segue agevolmente una sinfonia, per provare la gioia di una narrazione distesa, succosa e riposata. Nelle narrazioni di Codazzi i colloqui non si riducono a due battute, ma sono sempre contrappuntati da una gestualità dei personaggi che nella letteratura contemporanea sembra del tutto scomparsa. Le descrizioni minuziose, le notizie erudite, le osservazioni colte, sono sempre interessanti e non scadono mai in compiaciuti eccessi. L’azione, solo apparentemente pigra, si snoda con alternanze di flash back e di racconti allusivi, come nel magistrale capitolo in cui la visita a una pinacoteca e l’esegesi di un quadro diventano gradatamente una vera e propria trasfigurazione, del tutto coerente con la personalità del protagonista, fino a produrre il primo atteso colpo di scena. Facendola opportunamente precedere da una dotta dissertazione su streghe e inquisitori, l’autore aveva già introdotto un’antica storia di tolleranza, intelligenza e amore. Eccola riaffacciarsi, agli albori del nuovo millennio, come lascia intuire una curiosa ricorrenza di nomi e cognomi. Ma la vicenda tornerà a svolgersi e riavvolgersi, sempre uguale e sempre nuova come i simboli alchemici, nel fascino di una ricerca senza fine.
Riccardo Ferrazzi
Il link alla recensione su La poesia e lo spirito: https://bitly.ws/YA3G