“Lo specchio armeno” su RPlibri
Francesco Improta per “Lo specchio armeno” di Paolo Codazzi
Lo specchio armeno di Paolo Codazzi
Edizioni Arkadia
Lo specchio armeno, ultimo romanzo di Paolo Codazzi, ideatore e presidente del Premio letterario Chianti, è stato pubblicato dalla casa editrice Arkadia, nella collana Senza rotta, diretta da Marino Magliani, Paolo Ciampi e Luigi Preziosi. Sono convinto che non vi fosse destinazione più adatta per un libro come questo che si muove senza bussola e senza coordinate, spostandosi continuamente tra presente e passato, cronaca e storia, realtà e finzione, mantenendo viva e costante l’attenzione del lettore, anche il più distratto e sprovveduto.
Il protagonista dal nome altisonante, Cosimo Ardemagni, di professione pittore-copista, quotato professionista, che non diversamente da Leonardo da Vinci, da lui citato, attribuiva al suo lavoro e alla riproduzione della realtà dignità e prestigio, riceve, tramite un intermediario, da un ignoto committente lombardo l’incarico di riprodurre il quadro di una giovane donna conservato nella Galleria civica di Palermo. Per una mirabolante coincidenza questo dipinto raffigura l’oggetto del desiderio di Cosimo, l’incarnazione della sua donna ideale che vanamente aveva cercato nelle donne frequentate fino ad allora, se si esclude in parte Laura, portata via, però, da un destino avverso un mese prima delle nozze. Cosimo parte per la Sicilia per eseguire la copia e…
Doveroso e indispensabile fermarsi qui e interrompere il racconto della vicenda e per non privare il lettore del piacere della scoperta e per le difficoltà oggettive di districarsi in una foresta fitta di fatti, di nomi e di personaggi. L’esile trama è, non a caso, un pretesto per scorribande, tutte affascinanti e dettagliate, nel mondo della stregoneria e dell’inquisizione, che si badi bene non fu istituita per dare la caccia alle streghe, come vuole una credenza popolare, ma per combattere le eresie inammissibili in quel periodo, tanto è vero che Ferdinando Il Cattolico era solito sostenere : “Ubi unus rex, ibi una religio” che divenne all’epoca un principio inviolabile e favorì il moltiplicarsi di delatori che il più delle volte denunciavano, ebrei, arabi e marrani o per vendetta o per interesse personale, in quanto i beni dei denunciati finivano alla Corona spagnola e in percentuale ai delatori che, nella peggiore delle ipotesi, beneficiavano di esenzioni fiscali. L’argomento delle streghe e del Tribunale dell’Inquisizione non è l’unico ad attirare Paolo Codazzi, che, in linea con quelli che sono gli interessi del suo protagonista, spesso e volentieri si concede, rifacendosi a Cennino Cennini e Icilio Federico Joni, dotte argomentazioni in difesa del suo lavoro:
“Ho intitolato così questo mio libro [Le memorie di un pittore di quadri antichi] e mi par di udire qualcuno dei tanti arricchiti antiquari dire: non antichi, falsi! No, cari signori, i falsi li fanno coloro che fabbricano i biglietti di banca, perché si servono della stampa, oppure coloro che fabbricano le monete perché si servono di uno stozzo. Un artista che crea un’opera d’arte originale, pure imitando la maniera di un antico maestro, non fa un falso, ma tutt’al più un’imitazione, e crea un’opera d’arte lui stesso. E se poi fa un’opera che, pur rispecchiando i caratteri di un secolo definito, non segue la maniera di nessun maestro, allora non è nemmeno un’imitazione, ma una creazione vera e propria”.
Non mancano divagazioni sui cambiamenti climatici e sulle conseguenze di tali inaspettate variazioni. Il tema, comunque, che, insieme all’arte e alla stregoneria, nel romanzo ha un posto di rilievo è l’amore, accomunato agli altri due da un alone di magia. L’amore-ossessione che occupa i pensieri e riempie le attese del protagonista, un amore maniacale che rappresenta probabilmente per lui, l’estrema forma di felicità. Uno splendido fiore che appassisce, però, come tutti i fiori, nel momento in cui lo cogli. Ne consegue che l’amore “non è un sentimento da vivere ma solo un’idea da desiderare e da rimpiangere nello scottante deserto delle memorie”. I temi, come abbiamo detto, sono tanti non diversamente dai riferimenti letterari (Guy de Maupassant), filosofici (Giordano Bruno) e artistici (Pontormo, Rosso Fiorentino, Caspar David Friedrich) a supporto di opinioni o preferenze estetiche. Tutto questo materiale, frutto dei suoi interessi storiografici – mi viene in mente il titolo della sua ultima silloge di racconti, Lo storiografo dei disguidi -, già di per sé interessante è impreziosito dallo stile originale e personalissimo di Codazzi, che rifugge da facili schematismi e, utilizzando l’ipotassi con estrema padronanza, consente al pensiero di muoversi in tutta la sua ampiezza e articolazione e al linguaggio di assecondarne il moto ondoso. Una scrittura, quella dell’autore, per accumulo e non per sottrazione, che lievita lentamente, sprigionando tutta la sua musica e il suo profumo per l’attenzione costante a ogni minimo dettaglio o particolare. Basti questo esempio:
“Un lieve stormire del panno gli rivoltò il sangue come una scudisciata, poi un impercettibile movimento delle dita a sfiorargli le labbra e in quel momento si accesero in lui echi delle ricorrenti fantasie e anche il dubbio se stesse sognando, o sognasse di sognare, e rivide le passeggiate con lei percorrendo ignote strade bianche inerpicate verso le colline, le corse nei campi di grano maturo, punteggiati di papaveri, centuriati da filari di girasoli, le soste lungo il mare raccogliendo i rifiuti spurgati dalle onde, complici sguardi, baci e carezze, insomma tutto un corollario di immaginazioni oniriche provocate dagli ultimi pensieri che anticipano il sonno, che spesso lo avevano guidato in regioni del tutto impraticabili dalla desta coscienza e diventate frequenze necessarie del suo vivere nell’attesa di qualcosa dimenticato ma che tuttavia modulava i desideri e le aspirazioni di una lunga aspettativa.”
È il primo impatto del protagonista, dopo averla a lungo vagheggiata, con la donna, raffigurata nel quadro che si chiama, e non poteva essere diversamente, Beatrice. Mi è venuto alla mente, anche per gli sviluppi successivi della vicenda, più per omologia che per analogia, uno splendido film di Fritz Lang, La donna del ritratto. Lo specchio armeno è un romanzo decisamente originale in cui una raffinata erudizione si sposa perfettamente con una fertile invenzione e con una lingua ricercata e preziosa.
Francesco Improta
Il link alla recensione su RPlibri: https://bitly.ws/XCVn