“Folisca” su SoloLibri
Folisca di Miriam D’Ambrosio
Arkadia Editore, 2022 – I lustrini del Cafè Chantant, una Milano misera nei primi del ’900. Negli occhi della nemmeno diciottenne Rosetta solo malinconia, nei suoi sogni, il buio. “Racconto storie di emarginazione” dice l’autrice.
Chi mme piglia pe’ frangesa, chi mme piglia pe’ spagnola, ma so’ nata o’ Conte ’e Mola, mett’a coppa a chi vogl’i’ (la traduzione è in calce alla recensione).
È “sciantosa” anche la Folisca dell’omonimo romanzo di Miriam D’Ambrosio (pubblicato da Arkadia, luglio 2022, 124 pagine), quarto della scrittrice di Sora, che insegna italiano in un centro di formazione a Treviglio.
Sebbene sia poco più che adolescente, la Rosetta di questa storia vorrebbe affermarsi come cantante. Chanteuse, sciantosa, è così che chiamavano le soubrette dei Bar Tabarin e dei Cafè Chantant a cavallo del Novecento. Ma la giovanissima delle pagine non ha niente della leggera, disinvolta, provocante protagonista della canzone:
Mo nun so’ cchiù Cuncetta, ma so’ Lilí Kangy… i’ sóngo ’a vera stella d’ogne cafè scianta’… Basta c’a veste è corta… avite voglia ’e dí!.
Negli occhi della milanese nemmeno diciottenne c’è una vena costante di malinconia. Nei suoi sogni, spesso il buio. “Racconto storie di emarginazione” ha detto l’autrice e questa è la vicenda di una poco più che bambina.
Rosetta rivolge alla vita, alla gente, agli uomini, uno sguardo venato da una malinconia inestinguibile, che si proietta sopra una realtà grigia: la società italiana del primo Novecento, matrigna e ignorante, intransigente con i deboli, ingiusta con gli ultimi, classista tra i ricchi, stracciona tra i poveri. Ricorda le illustrazioni del “Cuore di De Amicis, soprattutto delle edizioni della prima metà del secolo scorso, dei fratelli Treves.
Elvira Rosa Ottorina Andrezzi, tre nomi per una bambina sola (“si è usato così per molto tempo”) e tre per una protagonista indimenticabile, nata dalla sensibilità ispirata di Miriam Ambrosio, una maternità incantevole, di cui le dobbiamo rendere merito.
Il primo: Rosetta, diminutivo della nona di nove fratelli e sorelle. Il secondo: Rosetta de Woltery, sul palcoscenico. Il terzo: Folisca, come la chiama teneramente Gino, compositore di canzoni e commedie, “unico e inviolato amore”.
Folisca per sempre, scintilla, folata di vento che trasporta una foglia e fin qui è poesia, sentimento, ma il vento spinge faville e foglie dove vuole, un po’ come gli uomini fanno di questa ragazza. Determinano la sua vita, le sue giornate, il suo destino, sebbene non riescano a diventare padroni dei suoi sentimenti, di quello che prova, che vede con gli occhi venati di tristezza e racconta in prima persona, nel breve romanzo. Nei capitoli alternati in corsivo, è invece lei a essere raccontata da chi l’ha conosciuta, l’ha incontrata, ha vissuto con lei, ha convissuto.
A tredici anni, la mamma la considera già pronta e accetta la proposta di un vedovo piacente. A servizio come cameriera in casa del Cavaliere, quello il mestiere ch’è decente nominare, perché dell’altro, intuibile, meglio tacere a quei tempi.
Quando l’uomo si risposa, la giovane va a vivere con Leda, prostituta, una buona donna, quasi una seconda una madre. Intanto, il padrone ha scoperto le sue doti canore: Rosetta prende lezioni di musica dalla cantante milanese Gina De Chamery e si esibisce nel Teatro San Martino di Piazza Beccaria, davanti a spettatori che frequentano “luoghi diversi con gli stessi abiti e differenti intenzioni”.
Dopo tre mesi, va a convivere con un amico del caro fratello Arturo, Attilio Orlandi, il Buterìn, uno della malavita milanese, la Ligèra.
Le presenze maschili si allargano alle frequentazioni mercenarie con il commerciante Guido, all’amore per Gino e alla paura per il Musti, un agente meridionale della Questura, implicato con le Famiglie del Sud che cercano di affermarsi nel mondo della mala. Le offre protezione, che lei respinge, tanto più che cominciano ad arrivare scritture fuori porta, a Napoli e a Genova.
Di lei, nei capitoli in corsivo, scrive anche un giornalista, conosciuto dopo uno spettacolo:
Mussolini Benito, onorato.
Miriam D’Ambrosio ha ripreso la vicenda da una storia vera. Dal 21 aprile 2018, c’è una targa in via Vetra, a Milano, nel quartiere Ticinese.
Qui lavorava (o abitava) la prostituta più famosa del Ticinese: la Rosetta della Vetra.
Il vero nome era Elvira Andrezzi e tutti dicono che la sua bellezza togliesse il fiato, che la voce fosse niente male. A tredici anni avviò la carriera di canzonettista nelle osterie del quartiere, come Rosetta di Woltery. Spinta dalla necessità, cominciò a concedere le sue grazie a qualche cliente in cambio di un po’ di denaro…
Di Rosetta si è occupato anche lo scrittore Leonardo Sciascia, a margine di una ricerca sulla colonna infame (in via Gian Giacomo Mora, non lontano dal Carrobbio) che ispirò un romanzo di Alessandro Manzoni. Alla chanteuse è dedicata anche una canzone popolare, ripresa da Nanni Svampa dei Gufi e prima ancora dalla cantante Milly. Racconta di “un angelo, di nome la Rosetta, era di piazza Vetra, battea alla colonnetta”.
L’autrice le si avvicina con un atteggiamento delicato, quasi amorevole. Alcuni passaggi nel testo riscattano la malinconia che opacizza questo romanzo, come la madreperla di un cammeo:
La memoria della bellezza non muore con noi, resta.
Siamo in debito della traduzione in italiano della popolare canzone del 1905, testo di Giovanni Capurro, musica di Salvatore Gambardella:
Chi mi scambia per francese, chi mi scambia per spagnola, ma sono nata in Vico Conte di Mola e ho la meglio su chi voglio… Ora non sono più Concetta, sono Lilì Kangy… basta che il vestito sia corto… dite quello che volete!
Felice Laudadio
Il link alla recensione su SoloLibri: https://bitly.ws/UykC