“Corpo a corpo” su MIVIENEDALEGGERE
Corpo a corpo
Raramente capita di leggere una storia mentre lei ti legge e questo riconoscimento è accaduto con il nuovo libro di Elena Mearini, Corpo a corpo. L’incipit è una catapulta che ti scaglia dentro il racconto che mi limito a fare affiorare (come consiglia Stefano Bonazzi attraverso la copertina), perché ognuno possa avere l’opportunità di scegliere la strada per scendere nella profondità del romanzo. Stefano Santi un ex professore di liceo vive una storia sentimentale disfunzionale con Marta, innescata dall’avere entrembi una ferita primordiale mai curata; il romanzo, che si svolge nell’arco di una giornata, comincia con un reato che obbliga Stefano a rifugiarsi in una palestra alla periferia di Milano, un luogo che gli fece da casa, dove incontra il suo vecchio maestro di boxe, Mario, nel quale desidera riporre una domanda. Non conoscevo la scrittura di Elena Mearini che ha saputo rapirmi nell’immediato e condotta in un luogo autentico dove c’è il coraggio di essere fragili e guidata dentro una storia raccontata con uno stile che ho sempre amato, caratterizzato dalla musicalità di brevi periodi, costruiti con la cura delle parole e numerose metafore di cui fa uso l’autrice, che nella vita si nutre di poesia. «Servono poche parole, quindi quando smetto tu non domandare altro. Eri forse appena nato, fresco di mondo, quando io la incontrai. Il mio opposto, lei una grazia, io una dannazione. Ci univa quel mistero che spinge il sole a sorgere ogni giorno, nonostante il disastro che gli si presenta sotto. Avrei potuto tirare in piedi un mondo, con lei, forse anche un universo intero. Invece me ne andai, la lasciai così, al termine di una notte, senza un fiato, come se ne vanno i fantasmi. Perché io ero fatto per buttare giù, mandare al tappeto, mettere a segno le cadute. Altro che tirare in piedi mondi, lì avrei fallito. Lo sapevo fin dall’inizio. Ma serviva il coraggio del male duro, per ascoltare quello che già sapevo. Un male di cane morto per fame». La poesia della boxe è la metafora della vita, forse la più importante del libro, utile a restituirci la complessità della propria esistenza, il match non prevede due persone che si azzuffano ma la scelta volontaria di praticare uno sport da combattimento ad alto rischio, controllato dalle regole. Non è un gioco perché è necessario colpire un avversario con un confronto diretto, in una gabbia chiamata ring. In questo spazio il tempo è rallentato dalla sfida, scandito dai colpi, dal proprio affanno e soprattutto da quello dell’avversario. Durante il combattimento scopri risorse che non pensavi di avere e spesso solo mentre incassi, dimostri che non le hai esaurite. Attraverso questa storia è possibile comprendere che il combattimento è nella natura dell’essere umano e che si differenzia dallo sport perché la boxe va contro l’istinto, in natura l’alternativa più frequentata è la fuga, soprattutto di fronte ad un grande dolore e quando non abbiamo il coraggio di attraversarlo ci costringe ad indossare la maschera della sopravvivenza. Nello sport da combattimento invece resti perchè la consapevolezza che puoi dare più colpi di quelli che incassi ti permette di sostenere le difficoltà impartite dalla lotta e dalla quale ricavi la forza per proseguire. Quando combatti sei nudo, solo con le tue capacità (o incapacità!) e mostri il corpo come un abito, di fronte a chi è pronto a farlo proprio come te, in un corpo a corpo. Immersa in questa lettura senza protezione ho potuto sentire quanto sia importante mantenere le promesse che facciamo sottovoce a noi stessi, invece di spenderci dietro la ricerca affannosa della perfezione che diventa un ostacolo alla propria capacità di essere vivi, solo così possiamo smettere di pensarci vivi dentro la morte perché «il buio è una rogna e un dono. Possiamo essere usati da lui, oppure adoperarlo per vedere».
Giovanna Pietrini
Il link alla recensione su MIVIENEDALEGGERE: https://bit.ly/3LGEheY