“Corpo a corpo” su Leggere:tutti
Corpo a corpo
Si apre all’insegna d’uno smarrimento totale e inquietante l’ultimo intensissimo romanzo di Elena Mearini: Corpo a corpo. Lo delinea magistralmente il secco incipit che dà l’avvio ad una vicenda tutta giocata su un caleidoscopio di emozioni ed agnizioni: “Non è mai il momento giusto, il tempo è tutto un errore. Qualsiasi cosa tu faccia, in qualche modo e per qualche ragione, sbagli”. È questa la constatazione/confessione di un protagonista alle prese con un dramma che il lettore potrà esplorare seguendo indizi via via sempre più palesi ma al contempo enigmatici: che svelano ed insieme velano una storia personale e corale rispetto ad un corpo a corpo che qui appare essere in bilico tra felice incontro e amaro scontro, passione e repulsione, attacco e distacco. L’io narrante, accennando solo brevemente ad un corpo senza vita, caduto a terra sul marciapiede sottostante alla sua abitazione e dopo aver detto di sentirsi: “risucchiare in un domani di manette e sbarre”, si dà alla fuga portando con sé un diario della propria partner defunta che si rivelerà rappresentare la narrazione dell’abisso in cui lui e la donna sono letteralmente precipitati. Il prosieguo è così una lenta e sofferta analisi che riguarda non soltanto la vicenda personale del protagonista ma una interessante riflessione sui modi con cui è possibile porsi nei confronti dell’altro da sé; specie quando il rapporto si fa via via più intessuto d’un odi et amo sempre difficile da gestire. Non a caso il protagonista, in cerca di soccorso, si rivolgerà ad un amico istruttore di pugilato: suo antico mentore, in grado di allenare i giovani non solo sul ring ma pure ad affrontarsi al meglio senza guantoni nella palestra della vita. E sarà con lui che l’io narrante rileggerà il diario di Marta, tentando di decifrare l’esistenza propria, della compagna e della sorella di lei: ulteriore presenza conturbante all’interno di un malessere a tre che Mearini esplora e ci fa esplorare attraverso una scrittura di grande espressività, visionarietà e forza metaforica, anche grazie ad immagini d’estrema poeticità (mai retorica o liricheggiante, però) e notevole forza evocativa. Particolarmente felice appare così questo cambio di testimone da parte dell’io narrante maschile (che è poi narrato da una donna: l’autrice) ad un parallelo io femminile. Ma qui rimaniamo comunque in una serie di ben congegnate scatole cinesi, perché chi parla in seconda battuta è una lei morta: resuscitata da un lui, che legge il diario della defunta estrapolandone e interpretandone brani, senza che però lei possa controbattere. Emergono quindi ‒ man mano che le pagine del diario e del romanzo scorrono ‒ ammissioni e ritrattazioni, attacchi e difese, scambi di ruolo tra vittime e carnefici; non tuttavia per il mero intento di depistare i lettori come in un classico thriller, ma giusto per farli divenire consapevoli di come non sia per nulla possibile separare nettamente il bene dal male, la colpa dall’innocenza, l’odio dall’amore. L’autrice esplora esemplarmente dunque, a mio avviso ‒ ben oltre la vicenda drammatica affrontata ‒, l’ambito problematico della fragilità esistenziale che un po’ tutti quanti accomuna e la difficoltà implicita in ogni rapporto interpersonale che implichi un profondo corpo a corpo. E per quanto un poco alla volta l’intrecciata vicenda narrata si dipani, resta sullo sfondo intatta l’indecifrabilità del gesto estremo, del pugno che può mandare kappaò o piuttosto farti mandare al tappeto. Rispetto a ciò, figura esemplare resta senz’altro quella dell’allenatore, che non giudica, condanna o assolve, ma invita semmai alla puntuale consapevolezza delle proprie mosse nell’arena della vita di relazione, in modo che i colpi inferti o subiti non abbiano a uccidere invano.
Francesco Roat
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