La bambina impazzita
PREFAZIONE
Viviana Viviani in questa raccolta di poesie balla da sola. E balla di fronte a uno specchio. Chi sta nello specchio pensa alla rovescia, scrive Giorgio Manganelli. Chi lo guarda è già dall’altra parte. Ecco, di fronte ha il suo doppio, c’è la sua amica geniale, anzi una bambina impazzita, come ci preannuncia il titolo. Nella distanza dello sguardo sul proprio doppio che si muove dentro lo specchio, prende corpo questo poema indie. Condividiamo l’abisso del poeta, cosicché la sua intera esistenza, morte compresa, diventa una replica delle nostre vite. Nello specchio ci si lascia giocare, si diventa parte del gioco. Si è giocati dal gioco. Lo specchio mostrando al contrario / le lettere sopra il gilè / mi dice ch’è tutto illusorio: / io sono l’opposto di me.
Se la rottura epistemologica della scienza, secondo cui non esistono più teoremi definitivi ma principi convenzionali, vale anche per la filosofia, perché non dovrebbe valere anche per la letteratura
e la poesia, in particolare? Regole metriche, prosodia e linea poetica sono diventate precarie. Il web è l’accademia dei miracoli che ci laurea tutti poeti, la grande firma non è più autorevole di un biglietto dentro un cioccolatino. Tutti i fanciullini sono usciti allo scoperto e postano ispirati dalla vertigine di una giostra che può andare a finire in una suburra. Attenzione, però. Non c’è niente di male in questo palinsesto. Anzi, non è che l’effetto della salita al potere della poesia. E il potere spetta al popolo (della rete). E pure un post può elevarsi al rango di un epigramma (o di un epitaffio). Mi piace pensare che la poesia possa giocarsela con le canzoni. Sì, le avanguardie ci hanno rotto e quanto al realismo terminale, l’aggettivo mi inquieta. Se fosse nata anche la poesia indie sarei felice. Se mi ami sopravvalutami / non cadere nell’inganno / di amarmi per quello che sono / sono stanca di faticare / di dovermi impegnare / tu indossami senza provarmi / comprami senza garanzia / se mi ami sopravvalutami.
La poesia indie è autenticamente dada. In un mondo senza letteratura, che solo Manganelli è riuscito a immaginare, la poesia è un’opera di dementi. Demente è stato anche il dadaismo in un mondo prima dell’avvento della rete. Nel mondo contemporaneo, invece, tutto ciò che è dada è primariamente artistico, poeticamente rivoluzionario, anticipatamente indie. La vera follia di questa contemporaneità è di volere rendere kitsch le nostre cloache private e collettive. Mentre fa tenerezza la pazzia di una scrittura che con la poesia vuole applicare una protesi ai nostri corpi zoppicanti, fornire una voce alle nostre anime rimosse. Ho smesso di amarti così / come quando Picasso cambiò periodo / perché aveva finito il blu.
La poesia della Viviani è una guerra al kitsch, inteso, alla maniera di Milan Kundera, come cieco tentativo di eliminare dal mondo la merda. Invece, la nostra vita è impastata e impestata da scorie. Lo sforzo della scrittura, della poesia a maggior ragione, è di ripulire il nostro corpo e le nostre parole giorno dopo giorno. Richiamo i trombamici / ché la tua vanità / è tempo si disperda / da me non avrai altro / che una poesia di merda. Eppure, senza merda saremmo già morti.
Dunque, anche la parola ha sempre un proprio doppio, un’ombra che si porta dietro, un significato nascosto. La poesia è la ricerca della parola nascosta nell’ombra di questa disgregazione. Il discorso per sua natura deve fare i conti con la disgregazione, ovvero con la perdita del significato, che, tuttavia, inaspettatamente, ci dà accesso al senso. Ma quest’ultima asserzione vale pure se invertita, cioè la perdita di senso ci fa riappropriare del significato primario. Per questo la letteratura è la camera oscura che illumina la realtà delle cose. Come scrive Paolo di Tarso nella Prima lettera ai Corinzi, la lettera uccide. Lo spirito dà vita. Si sa, le parole uccidono più di un coltello. Le parole sono importanti. Non bisogna mai prenderle alla lettera. Così, la poesia della bambina impazzita ha la dignità di una parola stemma, stella, luce, guardiana e ribelle, sapiente, capace di stare al mondo e di raccontarcelo con menzogna e verità. Il tuo nome è la chiave / con cui
scrivo lavoro / compro pago rispondo / mi collego col mondo.
Il mondo è immondo e per mondarlo devo discorrere, entrare nell’incubatrice dove nasce la parola, la parola-corpo o la bio-parola. Il discorso della Viviani non ha paura di venire fuori. È terrestre, cupo e ironico, irridente, iroso e delicato allo stesso tempo. È la serena e (troppo) umana scoperta che il paradiso esiste, ma è solo la variante lucente del nulla. Mentre è meglio l’inferno terapeutico delle nostre stanze. Le amiche perdute / per un segreto sfuggito / un amore esaltante / che il giorno dopo / non valeva niente.
La scrittura poetica arriva a possedere la forza fisica di un vissuto integrale. Talvolta, perfetto come alcuni suoi versi, capaci di cogliere, di ciascuna azione, non il giorno né l’ora, ma il momento giusto, il kairos, allo stesso modo unico e universale. Verdure cotte come solo bagordo / mutande belle per il pronto soccorso / faremo festa finché il sonno ci coglie / giocando a dama con le nostre pastiglie. La lettera uccide. Le parole possono uccidere. Abbiamo bisogno di un testo nuovo sul quale distendere l’ombra di una nuova luce. Facevo correre cavalli in verticale / cucinavo a Ken torte invisibili / mi nascondevo dietro porte trasparenti / dalle maniglie d’oro e di diamanti.
PASQUALE VITAGLIANO