Il Re delle api
Mamadou, Boreal, Zenia e altri
Mamadou – primo e unico – scorse una macchia di indefiniti colori apparire e scomparire nel verde della pineta, sicuramente con velocità insolita rispetto ai runners che d’abitudine la percorrono. Qualcuno, ad altezza inusuale e con movenze da discesista, di neve stiamo parlando, attraversava il sentiero tagliafuoco che dalla provinciale fa da scorciatoia per la litoranea che immette in paese. Fece un cenno d’attesa all’amico che gli stava chiedendo indicazioni su secche e banchi di pesca e stette a guardare con attenzione, gli occhi due fessure, le narici dilatate a cercare tracce fino nell’aria, risposte negli umori del tempo e negli odori di elicriso che il vento portava assieme alle nuvole, indizi di conferma, insomma, di quella macchia colorata che appariva e scompariva nel verde del costone.
Anche il pescatore guardava con espressione di stupore nella stessa direzione e più evidenti le rughe di sale al volto che riparava dal sole con le mani, segate dalla lenza dei palamiti, a visiera. Piccolo e tozzo, arrivava alle spalle di Mamadou e, per quanto si sforzasse sulle punte dei piedi – per di più scalzo –, non riusciva ad avere lo stesso asse visivo del gigante. Scosse la testa con un sospiro d’attesa e s’allisciò i capelli bianchi che resistevano ai lati del viso. Raccolti in otto treccine rasta, sembravano tentacoli che irridevano la calvizie abbronzata, lasciandogli le stimmate del soprannome Cabbudipoippu, il padrone del taxi boat per l’isola, sommo sacerdote degli spaghetti ai ricci che serviva sul suo gozzo ai turisti, lasciando al pilota automatico il compito della rotta.