Se/dici
Buon compleanno, Minestra di pane
Ho aiutato i miei figli che si preparavano a uscire. Ho cercato nei loro occhi la ragione che mi ha allontanato da mio padre per molti anni. Ho indugiato su di loro come se dovessero svelarmi il motivo di tanta trascuratezza. Perché è successo? Non è il mio unico interrogativo. Ce ne sarebbero molti altri cui vorrei rispondere, ma sono confuso e stanco.
Mi sono accorto di avere tenuto un piglio rigido troppo a lungo, perché a un certo punto i miei ragazzi hanno arricciato le sopracciglia presagendo i miei pensieri. Non è mia abitudine guardarli in quel modo. Io li riempio sempre di attenzioni amorevoli senza oppressione, ma ero sofferente di un male gretto e totale e provavo un dolore fisico.
«Babbo?», mi hanno detto per scuotermi e ho ricordato di avere aria nei polmoni. Così ho respirato. L’ho rigettata e quasi mi saliva il pianto rimasto aggrappato alla gola. Che idiota! L’ho ricacciato dentro senza dargli sfogo, come facevo da bambino nei momenti d’impotenza, e mi sono spaventato all’idea di essere un adulto.
Ho intercettato mia moglie. Come un’infermiera discreta, si muoveva nella stanza, mi porgeva le calze, le scarpe e il portafoglio. L’ho vista solo all’ultimo momento. L’ho abbracciata per ancorarmi a un porto sicuro. Ho visto la luce dei suoi occhi come fossero un faro in uno spazio buio. Ho preso altro tempo e ho trovato il coraggio di uscire di casa. Se mia madre fosse stata con me! Ma lei se n’è già andata, molto tempo fa.
Non c’è una ragione plausibile perché i nostri morti ritornino alla mente nei momenti più tristi della vita, tramite i ricordi; è come se ci fossero ancora e appartenessero al presente. È una cosa ridicola, prepotente e ingenua, eppure è così; succede perché non riconosciamo la realtà e ci aspettiamo che chi abbiamo perduto possa ricomparire quando ne abbiamo bisogno.