“Con tutto il mio cuore rimasto” su The Huffington Post
Il dolore è bambino e ha la voce delusa
“Con tutto il mio cuore rimasto” (Arkadia) di Rosario Palazzolo, candidato al Premio Strega 2022. Una voce che è una, assolo che s’impone con forza dietro le tende di un sipario
Nella Palermo del 1978 il dolore è bambino. Ha la voce delusa e graffiata dalla disperazione. Si chiama Concetto Acquaviva e ha 13 anni. Troppo pochi per raccontare l’inconfessabile, ma abbastanza per capire come «la normalità sia la più grande felicità che possa capitare agli esseri umani». La felicità, appunto. Quella cima alta, al di là delle nuvole, su cui tutti vorrebbero arrivare, sostare almeno un poco, senza minaccia alcuna. Arrivare dove la libertà ha il profumo del ciclamino, senza il peso grave di un’esistenza che t’insudicia e ti fa sentire sporco. Proprio come la macchia di sugo che impregna l’abito nuovo. E a volte in vita ci si può macchiare, senza colpe ma con grande vergona. Rosario Palazzolo ci consegna un romanzo che ha in sé tutta la potenza drammaturgica di cui è capace: “Con tutto il mio cuore rimasto” (Arkadia), candidato al Premio Strega 2022. Una voce che è una, assolo che s’impone con forza dietro le tende di un sipario: la vita di Concetto e di tutti coloro di cui leggerà e dirà. Una voce che è una, sì, ma che si fa due e poi altre ancora, per guidare il lettore dentro una «ragionevole verità». Un bambino, segregato dentro una stanza da due donne, per fare i conti con i peccati di cui l’uomo è capace: «l’umanità è menzognera, con l’umanità non ci puoi fare affidamento», perché «ti illude con la bugia del vissero per sempre felici e contenti». Una porta serrata, dietro cui una voce si fa monologo con «gesù», volutamente scritto minuscolo: forse perché dio minore per un mondo minore, in cui la luce sembra essersi smarrita; forse perché non perdonato dagli occhi di un innocente a cui mancano risposte per sentirsi assolto. E come si fa a sentirsi assolti, quando hai scoperto che la fiducia può puzzare di carne e pesce? Come si fa a recuperare la libertà vergine di cui si era capaci nel giardino dell’infanzia? Palazzolo è maestro di una lingua che personifica l’identità dei luoghi e dei sentimenti. Una scrittura originale che corre veloce, con la ripetizione che incalza, per confessare quelle cose che puoi dire solo se le ripeti a raffica. Uno scrivere per stare dentro la parola, come se l’autore dicesse “parlo così, perché è così che mi sgorga dal cuore”. Del resto, nel romanzo si legge: «Quando agli umani gli capita una certezza scritta, quando hanno il tempo di rigirarsela, quando non possono più permettersi di ignorarla, fa un dolore che non resisti più dal dolore». Se pensate di non poter sopportare un colpo secco nello stomaco, non leggetelo questo libro: la rabbia e il dolore rivivono in quella che Palazzolo chiama la prima e la seconda tragedia. Ferite inferte su innocenti che meritano di essere vendicati: «La colpa di essere nati, io credo, si paga solo da zitti». Se invece credete che sia giusto sapere, senza voltarsi dall’altra parte, affrettatevi. Iniziate dalla prima pagina e – con tutto il vostro cuore rimasto – ascoltate la voce di Concetto. Forse chiuderete il libro, domandandovi questo: «C’è da qualche parte un posto in cui ogni verità potrà essere svelata?».
Alessandra Angelucci
Il link alla recensione su The Huffington Post: https://bit.ly/3Iykqtj