“I martiri” su L’indice dei libri del mese
Alessio Orgera – I martiri
Uscire dalla menzogna
Pare che Lenin (una cui immagine sullo sfondo di una Bucarest sovietizzante è stata scelta per copertina), rispondendo a un militante che chiedeva con insistenza in cosa i comunisti fossero diversi dai borghesi, abbia riposto seccato: “Non siamo affatto diversi da loro; ma forse riusciremo a essere migliori”. Dopo avere offerto per tre quarti di secolo tanti elementi a sostegno della prima affermazione da far dubitare della validità della seconda, il socialismo reale proprio nel momento del crollo ha rivelato un fugace barlume di saggezza. È il 1989 quando centinaia di migliaia di persone si riversano nelle piazze chiedendo democrazia o violano i confini blindati della cortina di ferro per raggiungere l’Ovest. Molti si attendono un bagno di sangue, invece le guardie di frontiera osservano senza reagire la fine di un mondo che li aveva addestrati per anni a reprimere e controllare fenomeni del genere. In questa rinuncia alla violenza molti hanno visto la rassegnazione degli sconfitti e altri – più ottimisti – l’onesta accettazione del fallimento di un sistema come verità minima da cui ripartire per costruirne uno nuovo, una volontà di rinascita che sembrò in quei giorni affratellare sorveglianti e sorvegliati in tutto il mondo d’oltrecortina. Non proprio tutto, per essere precisi: in Romania non andò così, ed è lì che si colloca I martiri, la storia, tesa e drammatica, che ci racconta Alessio Orgera. Il periodo è importante perché a metà dicembre 1989, quando i primi coraggiosi dimostranti si riuniscono a Timişoara, la situazione dei regimi comunisti dell’Est è già segnata: dopo le libere elezioni di giugno la Polonia ha una maggioranza non comunista; ad agosto l’Ungheria autorizza l’espatrio verso l’Austria mentre a ottobre il partito comunista cambia nome e legalizza elezioni multipartitiche, e a novembre lo stesso accade in Cecoslovacchia e, sia pure in modo più gattopardesco, in Bulgaria. Quando il 9 novembre una folla immensa attraversa il muro di Berlino senza incontrare resistenza, è ovvio che non si tornerà indietro e usare la violenza contro i manifestanti è ormai non solo immorale ma inutile. Eppure quando il fotografo Grigore viene mandato a Timişoara per coprire la notizia di una modesta contestazione, percepisce una tragedia incombente. Il sangue infatti non tarda a scorrere e la ribellione è soffocata. Ma le foto delle vittime non bastano al capo di Grigore per una pubblica denuncia del massacro e l’uomo lo rimanda a Timişoara in compagnia – o meglio sotto la custodia – dell’inquietante capitano Dinca, membro della Securitate. Le sue minacciose istruzioni portano a nuove fotografie, e questa volta i cadaveri sono centinaia, forse migliaia, e includono donne e bambini di pochi mesi che non hanno a che vedere con la repressione di quei giorni, riesumate da vecchie fosse comuni o prelevate dagli obitori degli ospedali e trasformate in martiri per amplificare ad arte le conseguenze della repressione. Grigore allora capisce: ai complici di Ceauşescu servono molti martiri e il dittatore come capro espiatorio: per presentarsi al popolo come i nuovi leader postsocialisti bisogna buttare benzina sul fuoco, anche con fake news su vittime inesistenti e le foto di Grigore saranno decisive. Lui non vuole certo difendere il regime, ma si chiede che futuro possa nascere da una menzogna. “Liberarci di un demone non scaccerà tutti gli altri”, gli ricorda il collega Petre, sua voce della coscienza. Dopo una vita passata a “fingersi qualcun altro” come “unica strada verso l’accettazione della propria condizione”, Grigore dovrà schierarsi. Nel suo romanzo d’esordio, finalista al Premio Calvino 2020, Alessio Orgera fa luce sull’episodio più opaco del tramonto dei regimi dell’Est attraverso la storia di un cittadino rumeno come tanti. Ma le scelte tormentate di Grigore ci dicono qualcosa di molto più universale: che non saremo diversi dai nostri oppressori senza essere anche migliori o correremo sempre il rischio di essere “uno di loro”, uno dei tanti pronti a saltare sul carro dei vincitori, come il capitano Dinca “che avrebbe usato ogni mezzo e fatto di tutto per salvarsi la pelle, o semplicemente cambiarla.” La prosa – essenziale, quasi austera – è perfetta per dare una dimensione in più a un mondo dove la vita è dura e non ci si può permettere nulla più dell’indispensabile. Lo stesso si può dire dei dialoghi – serrati, mai una parola di troppo – che restituiscono con efficacia la tensione del protagonista e il suo straziante senso di solitudine di fronte a una scelta decisiva. La figura di Petre, uno che scrive “articoli che non saranno mai pubblicati, una verità che non sembra interessare a nessuno” interviene nei momenti giusti per dare ritmo alla storia. Ma è il finale a darci il senso vero del romanzo: coerente con il mood della storia, esprime bene l’aspirazione di Grigore – uno qualsiasi, un non-eroe che cerca di fare la cosa giusta – a un mondo davvero nuovo, dove la verità sia la norma e non si sia costretti a scegliere tra essere martiri o trasformisti.
Maurizio Maggi