“La ragazza andalusa” su La poesia e lo spirito
Alessandro Gianetti, “La ragazza andalusa”
Sono stato sia in Spagna sia in Portogallo, nella mia vita: che poi è come dire tutto e niente, perché i due Paesi, in realtà, restano frantumati, oggi come ieri, in una miriade di spazi sia fisici sia immaginifici che nulla hanno a che fare gli uni con gli altri. Dunque anche la mia Penisola iberica no, non ha nulla a che fare con quella di Gianetti: e proprio per questo quella di Gianetti mi rimarrà addosso. Sarà che io molti dei luoghi di questo romanzo – dall’Andalusia all’Algarve, dall’Estremadura a ciò che uno ha dentro – li ho vissuti nel battito di ciglia di una vacanza o poco più: un’andata tra amici in un Paese straniero a cercare divertimento, e a non trovarlo se non nelle parole degli amici stessi con cui si era là, e con i quali si poteva anche andare solo al bar, a bere una cosa. Inutile ripercorrere la trama del romanzo, almeno per me, tanto le dimentico tutte: non ricordo, credo, un solo finale di un romanzo che ho letto nella mia vita. Ciò mi accade per un motivo: i fatti di un romanzo, non riesco a trattenerli; mi restano dentro le parole. E la semantica di Gianetti è tutto, è il silenzio di questa ragazza conosciuta dal protagonista e vissuta attraverso silenzi laconici. È un rapporto, il loro, che sta nel silenzio di quelle case coloniche bianche, sperse nel nulla lungo le campagne iberiche. E c’è questo silenzio, in Gianetti, che è ciò che ho dentro. E li è il cuore del romanzo, che pure è frantumato nella grande sapienza di chi sa narrare un viaggio, di chi sa far entrare il lettore nei luoghi che sta attraversando. Gianetti sa tutto questo e lo dimostra divertendosi, e facendo divertire i suoi protagonisti, citando scrittori e opere: mescolandoli al tessuto narrativo sino a scioglierli in esso, come dovrebbe fare chiunque scrive, nel silenzio. C’è un momento in cui il protagonista, nell’attraversare insieme a Beatriz l’Estremadura, «regione dalla miseria grandiosa», cerca un dialogo con lei proponendole l’accostamento tra il paesaggio e la mano di una musa, che avrebbe aiutato alla creazione dello stesso. Lei, Beatriz, dopo aver fatto notare che quello stesso paesaggio è adatto alla fame dei maiali, prende a mimarne con le mani il profilo, perché: «ogni scusa era buona per non articolare un discorso». Ecco, vorrei che restasse questo della mia lettura di Gianetti, al di là delle citazioni di altri romanzi o altri scrittori: la capacità di racchiudere il senso di un amore – o forse più: di una fede nell’altro – nella decisione secondo cui basta un gesto, e tutto il resto non serve. In quel gesto, in quell’assenza di parole inutili sta il centro di un romanzo che ha parlato in qualche modo anche della mia vita. Ché cercare noi nell’altro è in fondo ciò che si fa quando si espatria, si cambia Paese, si cerca un amore: si prega su una pagina.
Stefano Costa
Il link alla recensione su La poesia e lo spirito: https://bit.ly/3hSog6Y