“Lettere dall’orlo del mondo” su Letto, riletto, recensito!
Anteprima – Le nuove missive dal mondo di Barbara Garlaschelli coincidono col 10° Sidekar!
Esce domani 1° aprile il nuovo libro di Barbara Garlaschelli, “Lettere dall’orlo del mondo”. Il numero 10 della collana Sidekar, di Arkadia Editore, curata da Ivana e Mariela Peritore e da Patrizio Zurru, lo ha recensito il nostro Gianfranco Cefalì, con la sua raffinatissima e sensibilissima penna.
Barbara Garlaschelli
Lettere dall’orlo del mondo
Arkadia in collana Sidekar
L’anteprima
Le recensioni in LIBRIrtà
Se fosse. Se questo libro fosse.
Se fosse un’immagine. Sarebbe il disegno fatto dalla mano tremante di un bambino, su di un foglio bianco, candido. Che individua come primo segno un punto a caso sul foglio e lo rimarca con forza. Un grumo. Poi continuerebbe a usare la sua piccola mano come un compasso ubriaco e a delimitare uno spazio fatto da un contorno sinuoso e irregolare. Una macchia con un centro ben visibile. Questo sarebbe. Colorata, senza seguire particolari accostamenti, davanti all’infinita varietà cromatica della vita. Riquadri variopinti che rappresenterebbero qualcosa, qualcuno, che solo lui, lei, loro potrebbero capire. Un confine ondivago che si allontanerebbe e avvicinerebbe nel tempo, a seconda delle situazioni, dei riquadri, delle vite. E perché quel confine alle volte è importate quanto il centro. Irregolare e frastagliato come solo i bambini sanno fare.
Se fosse un suono. Sarebbe la combinazione di quattro suoni distinti e uniti. Perché sarebbe corpo e anima. Sarebbero di due esseri umani. Due battiti e due respiri. Partiti insieme. All’unisono si ascoltano respirare e pulsare, poi gli eventi separano e i suoni si sciolgono. Si rimane da soli in ascolto. Prima armonia degli strumenti che si completano a vicenda, che creano quasi una melodia giocosa, poi stonature che si immergono nell’impossibilità sincera di suonare insieme nella stessa parte di mondo.
Se fosse un luogo. Sarebbe riduttivo individuarne uno solo. Sarebbe una camera. Una stanza d’albergo, un posto a sedere in un treno, su di un autobus, una piazza vuota, un paesaggio che scorre dietro un finestrino, una porta aperta, chiusa, socchiusa. Sarebbe una distanza tra due posti, sarebbe la storia dei luoghi visitati. Sarebbe una panchina che aspetta una vita, che accoglie anche le vite altrui, reali? Immaginarie? Sarebbero occhi in cui scrutare e ipotizzare vite. Sarebbe il mare, vasto, blu e profondo.
Se fosse una parola. Sarebbe inutile individuarne una sola. Amore sarebbe la prima, forse la più forte, quella gridata e sussurrata. Ma non basterebbe. Solitudine potrebbe essere un’altra. La solitudine data dalla mancanza di certezze. Ancora non basterebbe a capire. Potrebbe essere spazio. Tangibile, astratto sognato, che si allunga fino all’inverosimile e si accorcia seguendo il sentimento. Che si frappone, che ostacola una vita, due vite. Potrebbe essere viaggio. Un viaggio nella mente, un viaggio nella speranza, nelle difficoltà di un cammino che si vorrebbe fare insieme. Che si deve fare insieme. Potrebbe essere paura. Sì, la paura delle piccole cose, delle grandi cose. La paura di affrontare la vita monca, tranciata da qualcosa di importante. Allora potrebbe essere assenza. Di qualcuno, di qualcosa.
Se fosse un oggetto. Anche qui, un solo oggetto non basterebbe, di sicuro sarebbero delle lettere, carta e inchiostro, vergate da caratteri e pezzi di storia, da sensazioni, emozioni. Sarebbero libri letti, riletti e brani imparati a memoria e trascritti con lucidità.
Se fosse uno dei cinque sensi. Vorrebbe essere il sesto, impossibile. Sarebbe di sicuro il tatto. Anelare e bramare un corpo, i solchi e i nodi. Un oggetto, la carta con le sue increspature, la penna levigata.
Sarebbe soprattutto il tempo, che scorre, che striscia, che separa, che cerca di unire, che si dilata irreparabilmente da strapparsi per poi farsi ricucire. Il tempo necessario che come medico e medicina vorrebbe guarire, essere non soltanto una misura quantificabile del dolore, ma anche cura necessaria.
Se fossero due persone. Sarebbero J. e Y. Poi, Miranda ed Edoardo. Perché nello scorrere del tempo e della speranza ci si identifica, si sposta l’attenzione cercando di trovarsi di nuovo, trasformandosi da personaggi a persone.
Se fosse scrittura. Sarebbe poesia.
Gianfranco Cefalì
Il link alla recensione su Letto, riletto, recensito: https://bit.ly/3wHqJWD