“Non è di maggio” su Convenzionali
“Non è di maggio”
Non è di maggio, Luigi Romolo Carrino, Arkadia. Angela Rosamaria Lieto, nata nel mezzo della seconda guerra mondiale, come la nonna paterna è bella, ha i capelli biondi, un doppio nome, un’indole passionale e disobbediente: diciassettenne s’innamora di un uomo che millanta il blasone e ha dieci anni più di lei, nemmeno un soldo in tasca e l’esclusiva ambizione di sposare la ragazza più bella e più danarosa di Napoli, che abbandona seduta stante e senza l’ombra di un ripensamento nel momento in cui il padre di lei gli dà soldi sufficienti per pagare i suoi debitori e vivere altri trent’anni almeno senza lavorare, a patto che lasci per sempre la città e Angela, che subito dopo si scopre adolescente e incinta e dunque la madre, la baronessa, ovviamente dopo averle detto, col tono disgustato già adoperato nei suoi riguardi quando aveva scoperto che a sette anni aveva assaggiato il sanguinaccio – che volgarità, è fatto con sangue di maiale! – la spedisce lontano, dalla janara Rosina, la mammana, che con un intruglio di prezzemolo le fa evitare lo scandalo di essere una nobile ragazza madre mentre il padre attende semplicemente che le risolvano fra di loro le cose da donne. Ma dopo un po’ di tempo nel ventre di Angela cresce Salvo, che combatte col senso dell’ingiustizia dell’abbandono sin dalla nascita davanti al mare di Procida, l’isola di Arturo, come da titolo del libro con la cui avvertenza iniziale, quella per il tramite della quale Elsa Morante, dedicataria assieme ad Anna Maria Ortese del romanzo di Carrino, celebrando il potere salvifico e immaginifico della parola, ha aperto l’edizione del suo straordinario romanzo, nell’anno fra i più felici della letteratura italiana e non solo, ossia il millenovecentocinquantasette – Sebbene i paesi, nominati in questo libro, esistano realmente sulle carte geografiche, si avverte che non s’è inteso in alcun modo di darne una descrizione documentaria in queste pagine, nelle quali ogni cosa — a cominciare dalla geografia — segue l’arbitrio dell’immaginazione. Tutto il presente racconto è assolutamente immaginario e non si riporta né a luoghi, né a fatti, né a persone reali. –, anche l’autore di Acqua storta e Pozzoromolo decide di far immergere il lettore in questo straordinario Bildunsgroman emozionale dalla trama policroma e preziosissima, amalgama di rara perfezione di sapori e linguaggi diversi, dal cui contrasto erutta bellezza, sboccia come il giallo delle ginestre quando si fa maggio. Da non perdere. Presentato con pieno merito all’edizione del duemilaventuno del Premio Strega da Wanda Marasco con queste azzeccatissime parole: Salvo è su un traghetto che lo riporta nella sua Procida. Ritorna con lo stesso aspetto di quando l’aveva lasciata a quindici anni, dopo un evento traumatico avvenuto nel 1976. Da quel momento, la sua mente si è rifugiata sull’orlo di un buco nero, dove il tempo rallenta e trent’anni corrispondono a pochi giorni sulla Terra. È un bambino indaco che impara a gestire il potere devastante di cui è in possesso, quello di poter curvare lo spazio-tempo. È la janara Rosina, governante della villa in cui risiede, a insegnargli sortilegi e fascinazioni in un luogo magico popolato da donne spezzate dalla perdita dei propri affetti. Salvo cresce nella convinzione di essere arrivato sulla Terra per insegnare agli uomini una nuova concezione dell’amore universale. Ben presto si renderà conto di essere solo, ma l’incontro con Nuccio, un ragazzo autistico, gli permetterà di comprendere il valore della fratellanza. Non è di maggio è il racconto dell’inadeguatezza di stare al mondo. Con una sapiente mescolanza di italiano e dialetto napoletano, Carrino scarnifica la morfosintassi e trasmette l’autenticità del pensiero primigenio, una comunicazione dell’anima senza filtri. Profezie, intrugli di janara e leggi fisiche costruiscono la trama di un romanzo audace che l’autore dedica alle scrittrici italiane: prima fra tutte, Elsa Morante. La presenza di potenti figure femminili, Procida restituita nella sua immortale bellezza, la fascinazione del racconto e l’incanto della lingua sono un omaggio al romanzo novecentesco.
Gabriele Ottaviani
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