“Non è di maggio” su Il Mattino
«Sull’isola con le janare un tributo alla Morante»
In «Non è di maggio» il napoletano Carrino narra di un legame impossibile tra la figlia di una famiglia blasonata e un contadino e lo ambienta a Procida: «Volevo ricordare il mio viaggio romantico.
Luigi Romolo Carrino, napoletano, classe 68, negli anni passati si è immerso nella follia dei manicomi (Pozzoromolo e Esercizi sulla madre) ma soprattutto sulla Napoli più pulsante e piena di contraddizioni (Acqua storta, La buona legge di Mariasole, Alcuni avranno il mio perdono). La settimana prossima torna in libreria con Non è di maggio (Arkadia, pagine 210 euro 15), un romanzo che affonda le radici dopo la Seconda guerra mondiale per narrare di un amore impossibile. Angela, figlia di una blasonata famiglia partenopea, viene ripudiata dal padre perché si innamora di Salvo, un contadino dai sentimenti sinceri. Sull’isola di Procida, nella casa di famiglia, nel suo ventre cresce il frutto dell’amore proibito. I genitori si accordano con la «janara» Rosina per allontanare il nascituro dalla madre e nascondere l’onta, però le nuove vite son due e Rosina ne serba il segreto. Cela ai padroni il secondogenito e lo alleva lei stesso dopo che Angela si immobilizza in una non vita a causa della morte dell’amato. Rosina cresce Salvo, che ha ereditato il nome del padre, condividendo con lui la sua profonda conoscenza e il ragazzino ben presto mostra poteri che superano quelli della strega. Salvo desidera che la madre lo riconosca e lo abbracci, vive nel segreto e l’unico con il quale stabilisce un amore profondo è Nuccio, figlio «difettoso» di Annina, che con lui sorride e si sente libero. È lui suo fratello e non quello che abita il mondo con la sua stessa faccia. Eppure l’apparente equilibrio svanisce dopo la morte del Barone, il padre di Angela. Sua madre Anna infatti raggiunge la figlia sull’isola e nulla sarà più come prima.
Perché ha scelto di ambientare questa storia a Procida?
«Volevo omaggiare Elsa Morante e l’isola di Arturo e ricordare un viaggio romantico sull’isola che non scorderò mai. Il libro intreccia tradizione partenopea, esoterismo e fisica quantistica, strizzando l’occhio al romanzo del ’900 e sottolineando il legame dell’uomo con la terra».
Però oltre alla terra ci sono invocazioni e sortilegi.
«Quando ero piccolo ero circondato da janare, riti stregoneschi e fatture. Oggi credo che le janare si nascondano soltanto per arginare i pregiudizi».
Il dialetto napoletano contamina ogni suo libro, caratterizzandoli. Ma non lascerà per strada i lettori?
«Non lo so, ma io ho un’identità precisa, non posso snaturarmi, devo onestà a quel che faccio e a chi mi sceglie».
Qual è stata la più grande soddisfazione da scrittore, finora?
«Quando Pozzoromolo e Esercizi sulla madre sono stati selezionati al Premio Strega».
E la delusione?
«Il pallonaro, un romanzo che parla dell’omosessualità nel mondo del calcio. Non mi fu perdonato di toccare il totem del machismo calcistico e non trovai un editore».
A proposito di calcio, lei ha sofferto molto per la scomparsa di Maradona.
«Su Facebook c’è un mio video in lacrime. Lui fece un miracolo, riscattò tutti noi, era un artista».
Superati i cinquant’anni ha fatto un bilancio?
«Ho avuto un infarto, mi reputo fortunato per aver avuto una seconda vita. Ho amato molto e sono stato amato, anche se di errori ne ho fatti tanti».
Nel 2010 lasciò il posto fisso per vivere di scrittura, si è pentito?
«Per mangiare faccio il ghost writer e l’editor, ho meno soldi di prima, ma non sono pentito».
Non ha sempre vissuto a Napoli, o sbaglio?
«I primi anni di vita me li ricordo a Milano, poi siamo tornati a Palma Campania. Finite le scuole superiori sono andato all’estero».
Per cosa è riconoscente alla sua terra?
«Per la lingua, un dialetto incredibile e intraducibile».
L’ha mai delusa?
«Quando mi ha costretto ad andarmene, lo spettro della camorra negli anni ’80 restringeva troppo le possibilità».
Ora dove vive?
Faccio la spola tra Roma e Napoli.
Perché ha iniziato a scrivere?
«La scrittura ha scelto me, mi ha fornito un modo per manifestarmi e stare al mondo».
Come sta vivendo la pandemia?
«Già prima ero un orso, ora non vedo più nessuno, evito anche la famiglia».
Ha un sogno?
«Che un mio libro diventi un film».
Emiliano Reali