“Il maragià di Firenze” su la Repubblica
L’India a Firenze
La statua di Rajaram Chuttraputti nel parco delle Cascine nasconde una storia molto particolare. Raccontata da Paolo Ciampi nel romanzo “Il maragià di Firenze” l’Italia non ha poi così tanti esotismi architettonici. Forse è per questo che Venezia è bella sì ma ti dà l’impressione di non essere “il tuo mare” per parafrasare il cantautore Calcutta. Firenze non sembra lasciare troppo spazio neppure lei all’Oriente ed è per questo che imbattersi nella statua di Rajaram Chuttraputti nel parco delle Cascine fa l’effetto di una sorpresa inattesa. La statua – per i fiorentini, per definizione tranchant “L’Indiano” – salva in pietra una vicenda singolare. Iconica e spiazzante, alla fine del viale intitolato al cantore della “c” aspirata, attore, chansonnier e nume di tanti artisti, il Carlo Monni di Campi Bisenzio, merita di essere raccontata. Paolo Ciampi lo ha fatto dedicando a questa curiosa vicenda un breve romanzo (“Il maragià di Firenze”, Arkadia Editore) che dialoga con quel busto in marmo. L’autore vi racconta la storia poco nota del principe indiano che, di ritorno dall’Inghilterra, morì giovanissimo a Firenze. Nella narrazione, tra poeti romantici, eccentrici studiosi ed esploratori dell’India, emergono un singolare viaggio e una riflessione sulla bellezza della vita nella sua fragilità, quella appunto di un giovane maragià in viaggio diplomatico. Si parte da una notizia sfocata e vaga da “La Nazione”, il quotidiano della città, anno di grazia 1870: “Martedì mattina dopo breve malattia cessava di vivere in Firenze alla grande Locanda della Pace, ove aveva preso stanza col suo seguito, S.A.R. il Rajah Muharaja de Kolapore. Venne assistito dai professori Ghinozzi, Cipriani e Wilson ma nonostante le indefesse e intelligenti cure prestategli dai distintissimi medici dové soccombere all’età di 20 anni!” Una notizia di cronaca che fa saltare nell’emeroteca dove sta cercando indizi come un detective nella storia, Ciampi: “L’ho trovato, è lui. L’Indiano che sta alle Cascine”. Il principe indiano – che è nato il 13 aprile 1850 – ha tutta la curiosità dei vent’anni, il suo “interrail” di lusso lo mette al cospetto della Regina Vittoria per una visita breve, dovuta dal protocollo forse del suo piccolo regno dell’India occidentale, il Kolhapur, passato al dominio britannico. L’incontro è raccontato come troppo breve, forse solo un omaggio “sottoposto” ma poi c’è Parigi nel suo Grand Tour e Ciampi così lo immagina nel suo romanzo biopic: “all’Hôtel de Lille ti sei precipitato in carrozza per i Boulevards. Eri impaziente di vedere il Louvre, le Tuileries, il Bois de Boulogne. E non lo dici, ma sono sicuro che Parigi te la sei mangiata con gli occhi. Hai voluto recarti anche al Dôme des Invalides, dove c’è la tomba di Napoleone”. Immaginatevi due leader così diversi uno di fronte all’altro. Uno ancora in buona salute – o così pensava nella sicurezza della gioventù che nulla teme –, l’altro dentro al sarcofago di pietra rossiccia. Poi Firenze, senza dubbio una tappa nella curiosità artistica ma pure il segno di un’epoca. In quegli anni Firenze è ancora la Capitale d’Italia. Il soggiorno nel Grand Hotel offre a Ciampi l’odore di una fredda coincidenza. Piazza di Ognissanti, l’incontro di pantheon diversi. Chuttraputti, a cui l’autore dà del “tu”, arriva nella sua stanza e non fa in tempo a vedere tutta la bellezza del Giglio. Un improvviso malore – sembra dovuto a un’infezione polmonare – e lì chiude la sua carriera principesca e turistica. C’è ancora solo il tempo di un funerale breve e irrimandabile. Un funerale che è il colpo di teatro finale a questa storia tutta arabescata. La magia finale, quella più esotica ma da immaginare, è, infatti, un funerale indù. L’Arno deve diventare il Gange e un corpo deve bruciare. Non si tratta di una scelta facile per l’epoca e un Paese non ancora rotto (forse ancora oggi) all’esperienza multietnica. Sì, Firenze è la meta di un immancabile “Baedeker” internazionale ma –come ha ben raccontato E.M. Forster nel suo “Camera con vista” – conosce un turismo per lo più anglofono o europeo. Se si è dotato di un cimitero per gli acattolici è successo da poco – quarant’anni appena e lontano dalle mura – e deve gestire un momento davvero atipico. Tutto è nuovo. Intanto Chuttraputti è il primo maragià che dall’India arriva in Europa, e la città, per quanto al centro del mondo italiano anche se ancora per pochi anni a livello politico, non ha mai eretto una pila per bruciare il corpo dello sfortunato giovane regnante. Il sindaco Ubaldino Peruzzi accetta ma la condizione è che avvenga di notte. È un alibi forse pudico ma immaginiamo ancora scenograficamente più lucente. Quattro anni dopo la madre del maragià è a Firenze a piangere la perdita e a commissionare a Charles Francis Fuller un monumento funebre. Oggi, grazie all’artista inglese, nel punto in cui Chuttraputti fu arso, si trova la statua dell’Indiano, un esotismo che ci piace ricordare come il luogo in cui tutti i fiumi e tutte le acque del mondo – e forse anche le religioni – s’incontrano e proseguono insieme.
Roberto Carvelli
Il link alla recensione su la Repubblica: https://bit.ly/35x9pb5