“Il maragià di Firenze” su L’Urlo
Il primo maragià che approdò in Italia? Lo racconta Paolo Ciampi nel suo nuovo romanzo edito nella collana Senza Rotta di Arkadia
Lo scrittore fiorentino ama far luce su personaggi che spesso ci chiediamo chi sono
Paolo Ciampi, candidato allo Strega nel 2019 con L’ambasciatore delle foreste, torna con un interessante romanzo che ricorre ai 150 anni della morte del personaggio che è citato nel titolo: Il maragià di Firenze. Ancora una volta pubblicato da Arkadia Editore nella collana Senza Rotta che lo stesso assieme a Luigi Preziosi e Marino Magliani curano, questo libro si presenta con una sola voce fuori campo che narra, mentre pedala a cavallo della sua bicicletta, attraversando la sua amata Firenze, la breve vita di un giovane maragià indiano.
Dal web al maragià
Nel suo quotidiano viaggio da casa fino al fiume Arno, tra l’autore e il territorio nasce un rapporto ombelicale. Si arricchisce delle bellezze scultoree, delle dimore storiche, della cultura ci ha dato e continua a dare la stupenda Firenze. Il rientro lo spinge a mettersi in postazione per lunghe e approfondite ricerche sul web. Viene fuori la figura del giovane maragià. Questi dopo aver intrapreso un lungo viaggio dalla sua terra natia fino all’Inghilterra, per conoscere e omaggiare la regina Vittoria, al ritorno, dietro consiglio della stessa, fa tappa nel Regno d’Italia per visitare la sua capitale (tra il 1865 e 1871): Firenze.
Raja Muharaja de Kolapore
La vicenda di Raja Muharaja de Kolapore, questo il nome del maragià, viene raccontata dai cronisti della rete con un’aurea di tristezza. Giunse a Firenze, prese alloggio alla ‘Locanda della pace’. Trascorsi pochi giorni, morì. L’indiano, così appellato dall’autore, trova collocazione di un omaggio in una monumentale pietra alle Cascine fiorentine, dove l’Arno continua, ma il confine della città gigliata finisce; dove la delusione di chi ha fatto ricerche storiche per scriverne un romanzo, si conclude che potrebbe essere un storia che finisce prima ancora di cominciare. Ma non bisogna arrendersi, e così che le ricerche su Wikipedia si fanno più approfondite anche se per non scrivere il complicatissimo nome facilità il tutto inserendo semplicemente “maragià” che nel vocabolario è una parola che identifica un grande re, quindi maragià che un tempo se lo attribuivano sovrani più potenti della Malesia, dell’India e zone vicine. Clicca sulla cover per acquistare il nuovo romanzo di Paolo Ciampi.
Il maragià alle Cascine
Certo è difficile per chi si trova in fondo alle Cascine fiorentine a guardare giornalmente il luogo che è diventato dove darsi appuntamento, dove dissetarsi nella fontanella vicino il monumento al maragià ‘prodotto’, cercare di cucire le poche informazioni per tradurle in un libro. Continuando con le ricerche viene fuori la storia di Firenze coi suoi tesori storici e nomi di grandi artisti che tanto lustro diedero e danno a tutt’oggi alla città. Continuando che dell’India vi è molto della storia di Firenze. Potrà sembrare strano che in questa città che aveva cessato di essere la capitale ‘di niente’ giravano riviste, si moltiplicavano convegni e mostre dove argomento principale era l’India e qui s’erge la figura del maragià, morto lontano dalla sua terra.
Paolo Ciampi e il culto della ‘pietra’
Il narratore si addentra in un’affascinante percorso storico, che sarebbe lunghissimo, nonostante le poche informazioni, cercando però di dare ordine alle ricerche così da tornare indietro quando il giovane Maragià raggiunse Londra. Era giugno del 1870, gli restavano solo quattro mesi e mezzo di vita, ma in lui non v’era nessun cenno di morte. Nel trascrivere le ricerche si passa da grandi nomi che soggiornando nella culla della cultura lasciano un segnale del loro passaggio, cercando sempre elementi sulla storia del maragià. Il giorno che conobbe il primo ministro inglese. La conoscenza della regina Vittoria. Il consiglio di visitare Firenze, che fu il luogo dove morì con relativo funerale con rito indù e dove per una volta l’Arno si trasformò in Gange. Il corpo del giovane fu arso, proprio dove oggi vi è il monumento in pietra. Dopo tanta conoscenza l’autore conclude che da quel momento guarderà la pietra che si è fatta storia in un modo diverso e chissà, magari, in una prossima vita potrà parlare con questa, trovandosi sulle sponde ancora una volta dell’Arno, scoprendo che fra loro ci sia vita.
Salvatore Massimo Fazio
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