“Il maragià di Firenze” su Isola di Kere
Il maragià di Firenze
Sarà anche un grande pirata il Comandante, ma non sa leggere e non lo vuole dire. Come sente parlare di un libro lo ruba e me lo fa leggere. Poi glielo ripeto e lui si fa bello in società, al circolo Mompracem, per ammaliare le pischelle.
Il Ponte dell’Indiano, perché si chiama così? Sicuro che molti non sanno, magari lo attraversano tutti i giorni; ma che c’entra un indiano con Firenze? Un Maragià poi, con tanto di statua, là dove furono disperse le sue ceneri, là dove l’Arno incontra il Mugnone. Riposa alle Cascine, con grande dignità. Un ragazzo ventenne morto a Firenze, tappa del suo viaggio di ritorno nel suo piccolo reame indiano: si facevano questi viaggi sotto tutela inglese, in India e fuori per coltivare il mito dell’impero. Gandhi ha un anno, la Gran Bretagna domina e controlla i cento, piccoli regni. Il giovane Rajah di Kolapore deve vedere Firenze, glielo hanno detto a Londra. C’è sempre un rapporto ambiguo tra chi governa e chi fa finta di lasciarglielo fare. Dietro una notizia c’è una storia, dietro una storia uno scrittore. Ciampi si fa detective, ne ricerca le tracce indiane, inglesi e fiorentine, legge il suo diario di viaggio, scopre che è già padreda un anno: quello che doveva essere il suo Gran Tour diventa l’ultimo viaggio. Ciampi dialoga con Rajaram e scrive di rimbalzo una sorta di autobiografia velata, con una scrittura garbata e precisa, che ha volte sconfina nel lirismo. Al Comandante sono piaciute le sue collane di perle, le pietre preziose. Chissà dove sono oggi, vorrebbe che chiedessi allo scrittore. Pirata.
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