“La vita schifa” su Prima Pagina Mazara
Ultime della sera: “La verità si trovava nel bosco Recensione su “la vita schifa” di Rosario Palazzolo”
Uscito a gennaio 2020 per Arcadia Editore, candidato al Premio Strega.
La sinossi che ci accoglie nella seconda di copertina non lascia dubbi sul fatto che ci ritrovi sin dall’inizio davanti a un romanzo onesto, che non crea illusioni e che proprio per questo entra dentro sin da subito. La vita è schifa e ce lo dice sin dal titolo. “La vita ride sempre di noi e infila parole dove aveva pensato silenzi”. Oltretutto, l’autore, Rosario Palazzolo, ce la racconta attraverso la morte. Palazzolo cerca di farci accettare un concetto difficilissimo per gli occidentali e cioè che in fondo la vita e la morte sono la stessa cosa. “Palermo, 2007. Un uomo racconta il suo ultimo anno di vita, lo racconta da morto, ci dice i perché, ci spiega i per come, ci catapulta in un luogo realissimo, contingente, eppure quasi fantasmagorico, segnato da una cultura al ribasso, che propone speranze a ogni cantone, solo per il gusto di vederle sfiorire. Ernesto è un killer. Un uomo buono. Cattivissimo. Con una sensibilità molto spiccata. Un uomo che ha vissuto un’infanzia povera di prospettive, un’adolescenza infame, una giovinezza sonnolenta e poi d’improvviso gagliarda, fino al giorno della sua morte. Parla soprattutto dell’impossibilità della redenzione, ché la parola redenzione, a volerci ragionare, è la parola più distante dalla parola redenzione, poiché propone un antidoto alla colpa, la assoggetta a una miriade di attenuanti, la sotterra, la dimentica. E invece la colpa andrebbe annoverata, sempre, ed esposta in bella mostra fra i fallimenti dell’esistenza, presa di petto, colpita ai fianchi, affinché non si abbiano sconti in qualsiasi futuro immaginiamo di dover ancora vivere.” La vita schifa colpisce subito per il linguaggio. Il protagonista. Ernesto Scossa, parla come parlerebbe effettivamente un uomo comune proveniente da certi quartieri di Palermo, non della “Palermo bene”. Ernesto parla un siciliano tradotto, come se la sua lingua madre fosse il siciliano ma che è costretto a tradurre in un italiano tutto scorretto ma capibile ai più È un flusso di coscienza continuo, senza punti, interrotto solo dalle virgole e dalla fusione di immagini oniriche con la realtà. In questo flusso, che scorre come un fiume in piena, le maiuscole non hanno diritto di cittadinanza perché è come se ristabilissero una specie di democrazia povera delle parole. Sembra di sentire “tu, chi ti credi di essere, solo perché sei un nome di persona, una città? Mettiti in fila come tutte le altre”. Sembra di essere fuori dalla realtà, poi si risveglia come dopo i ceffoni ricevuti da bambino. “Ma che minchia sto facendo?” L’autore, Rosario Palazzolo è drammaturgo, scrittore, regista e attore. Ha scritto per il teatro, ha lavorato con Letizia Battaglia. Nel 2016 è stato insignito del Premio Nazionale della Critica Teatrale per la sua attività di drammaturgo. Nel 2007 ha scritto la novella L’ammazzatore (2007), e poi i romanzi Concetto al buio (2010) e Cattiverìa (2013). La vita schifa è la versione romanzata della novella L’ammazzatore. Rosario dice che i personaggi a volte non lo lasciano in pace, “continuano ad assillarmi”. “Scusa ma abbiamo ancore altre cose da dire”. E così lui si rimette a lavorare e la novella diventa rappresentazione teatrale e poi romanzo. E nel romanzo la storia si complica un po’. Lo scrittore si diverte ad andare avanti e indietro nel tempo della storia. Spesso ci si ritrova subito dopo o subito prima di un determinato accadimento. Traduce un andirivieni dei pensieri, come un’onda del mare e lascia una specie di ottundimento. Palazzolo, attraverso Ernesto dice che sono le storie che creano il personaggio e non viceversa. “Le storie per forza mi pretendevano là, culo a terra, come se erano loro che stavano leggendo me”. La vita e gli omicidi hanno lo stesso odore di sangue e ruggine, sapore di pasta e fave. La vita e gli omicidi scorrono insieme. “La vita significa un bordello di altre cose che me le avete azzerate tutte”. Sin da bambino Ernesto è considerato scemo ed è quasi scontato che la sua vita sia per forza schifa, non ha possibilità di scelta. “Ognuno c’ha il suo bernoccolo, un punto preciso della testa che vuole sbatterla sempre là”. E ad un certo punto mette in discussione pure l’esistenza del paradiso. “È tutta una fesseria il fatto del sacrocielo”. “Più passava il tempo più a me faceva specie questo fatto che esisteva qualcuno capace di inventarsi una vita eterna felice per giustificare la schifa disperazione dell’ognigiorno” “La verità non esiste per me allo stato liquido, la verità è sempre un macigno con la torta farcita intorno”. La vita schifa ti entra dentro fin da subito, ti rivolta le budella, ti scuote l’anima. In alcuni momenti, per le situazioni estreme che vengono raccontate, sembra di essere in Romanzo Criminale o in Narcos. Ma è un romanzo totalmente italiano a partire dall’ossessione per il cantante Pupo con suo “gelato al cioccolato dolce e un po’ salato”, proprio come la vita. L’obiettivo dell’opera d’arte, secondo Palazzolo, non è entrare in relazione ma entrare in contestazione. Ecco perché, a dispetto di quanto raccomandato dall’editore, (affinché si comprendesse che il linguaggio era voluto e non frutto di un pessimo editing), l’autore scrive solo alla fine una nota che rimane una giustificazione superflua rispetto alla forza che attraversa tutto il romanzo. Proprio perché scardina tutte le regole della scrittura, della grammatica e della punteggiatura è il libro perfetto: quello che non vedi l’ora di finire di leggere!
Saveria Albanese
Il link alla recensione su Prima Pagina Mazara: https://bit.ly/32QlUwS