“Caribe” su La Sicilia
«Razze e culture, sempre mescolate»
Intervista. Tradotto Caribe, il romanzo-metafora del cubano Fernando Velázquez Medina.
«La vita di Diego, il protagonista, è la negazione di quella che è considerata la storia dei Caraibi»
Di Fernando Velázquez Medina, uno dei padri del realismo sporco riconosciuto su scala planetaria, è uscito, tradotto dal duo Magliani-Ferrazzi, per la collana Xaimaca di Arkadia, Caribe. Pubblicato originariamente nel 2016 a L’Avana, il potentissimo romanzo/metafora, narra del giovane Diego, costretto a fuggire dalla condanna della Santa Inquisizione per un crimine mai commesso. Ad aiutarlo un francescano che lo imbarcherà verso viaggi di esplorazione di terre e culture, dove Diego farà anche la conoscenza del più famoso corsaro di tutti i tempi, Francis Drake. Ciò lo solidificherà. L’autore inserendo la fiction punta a interrogarsi su vicende storiche che divenute luoghi comuni, dal 1500 a oggi, mettono in discussione troppe verità conclamate. Dai vittimismi arcaici neo latini contrapposti a condanne occidentali, gli chiedo sulla polemica contro la negazione della storia, “incipit” di un Diego oramai anziano. «Tutta la vita di Diego – incalza – è una negazione della storia “ufficiale” di Cuba e dei Caraibi, sempre raccontata da una prospettiva anglosassone. La scelta di esordire con Diego vecchio che racconta le sue esperienze è stilistica perché oltre al fatto che attraversiamo la vita a ritroso, non sappiamo mai cosa succederà domani».
Diego è metafora di chi non segue un mentore che lo erudisca, ma che ne sarà costretto: quali risultati e quale l’ispirazione?
«Ispirazione? Le vite di tanti uomini riusciti a progredire socio-culturalmente nonostante le loro carenze accademiche: Gengis Khan, Brunelleschi, Sor Juana Inés de la Cruz o Borges, ho notato che illuminarono il mondo grazie alla loro voglia di imparare a decifrarlo. Anche Francis Drake, che Diego seguirà, è uno dei migliori marinai di tutti i tempi, senza aver fatto studi matematici».
Le “scoperte” di altre terre a opera di occidentali, sono basse giustificazioni per sottomettere altri popoli?
«È transculturazione ed è sempre esistita. Le culture sono state mescolate, come le razze, sin dalla preistoria. Guarda le piramidi egizie e quelle dell’America centrale: mescolanza di civiltà nel corso della storia, ma nessuno sa come quel design sia arrivato nelle Americhe. La conquista europea non fu che invasione ma si pensi ai Caraibi e agli Indios di Caribe che facevano altrettanto: dediti al saccheggio e alla distruzione delle tribù meno bellicose. In breve: l’America era già sanguinosa prima dell’arrivo di Colombo».
Demagogia che si protrae da secoli. Un esempio è il frate di Diego, che voleva scoprire verità su Maya e indiani?
«Uberto, cercava il nesso tra le culture indigene precolombiane, la civiltà egizia e quella afro-islamica. Non poteva conoscere gli indizi dei legami tra le civiltà azteca, maya e inca con il Giappone e la Cina, seppur i Maya producevano oggetti simili a quelli cinesi, o ancora, ci sono tribù messicane, i Tarahumara, la cui lingua è parimenti all’antico giapponese. Dunque il monaco è la rappresentazione del suo tempo: non accetta ciò che dicono autorità accademiche, né politiche, né religiose».
Uberto, il frate/mentore per Diego: potrebbe essere utile per un giovane di oggi ostile agli studi?
«A quei tempi, per imparare, c’era un maestro che ti formava. Oggi è complicato: se non hai una laurea vieni rifiutato da “professionisti” accademici. Il fatto che Diego avesse un tale mentore fu la sua fortuna per riuscire a sopravvivere adattandosi alla società europea post-rinascimentale».
Questo romanzo può rivalutare il modo di intendere l’Occidente? E si consoliderà, a tuo dire, tra i classici non solo della letteratura cubana, come accaduto con il suo precedente?
«A quei tempi tutti invadevano tutti. I Normanni attaccarono Bisanzio e conquistarono la Sicilia. I Popoli del Mare attaccarono l’Egitto e i Romani lo conquistarono. Gli Spagnoli non solo conquistarono l’America, ma anche il Nord Africa e l’Italia meridionale. Fino alla Seconda guerra mondiale la legge del più forte era in vigore, oggi Putin invade l’Ucraina e i latinoamericani non si allarmano. Il tutto è determinato da chi possiede le armi migliori e non dalla ragione o da chi è più civile».
Una curiosità: il monaco “Uberto” Eco ha attinenze con il nostro Eco?
«Si tratta del mio personale omaggio a Umberto Eco, morto senza Nobel, ma con gloria come Borges o Carpentier; ma l’offesa prosegue: un cantante popolano come Bob Dylan riceve il Nobel! Dov’è il prestigio? Nei quattrini!».
Salvatore Massimo Fazio