“Lunga è la notte” su Giuditta legge

Chiacchierando con… Marinette Pendola

Ti avrei proposto la tisaneria e salon de thé Eutepia in un vicolo della vecchia Bologna in cui sorseggiare insieme un tè alla menta. Oppure sul lungomare semideserto di Hergla (Tunisia) al tramonto…

… e io non avrei saputo scegliere tra i due luoghi proposti da Marinette Pendola per chiacchierare del suo nuovo libro per la casa editrice Arkadia, e poiché l’immaginazione può tutto, scegliete voi dove meglio volete collocarci per seguire la chiacchierata tra noi.

“Lunga è la notte”, recente romanzo di Marinette Pendola per Arkadia, porta i lettori nel paesino tunisino di Bir Halima, nel quale il 21 giugno del 1936, nella comunità italiana, si consumò un tragico, inspiegabile delitto: l’uccisione di una donna siciliana, moglie e madre irreprensibile. A cercare di dipanare il mistero dopo un oblio durato lunghi anni, in cui è cresciuto e tornato in Italia, il figlio della vittima, presente sul luogo del delitto, la cucina della loro casa tunisina in una calda serata estiva: Mimmo. Le tracce della memoria, i ricordi famigliari segnati dalla tragedia, una piccola comunità che cerca in terra africana di preservare le proprie tradizioni e il legame con le radici, i pregiudizi dell’autorità francese che amministra il territorio, tutto questo è sconvolto dal sangue versato sulla soglia di casa. Come si legge nella bandella, Marinette Pendola è nata a Tunisi, da genitori di origini italiane, e in terra africana spesso guida i suoi lettori: con il romanzo autobiografico “La riva lontana” nel 2000 per Sellerio, e con i due romanzi editi per Arkadia “La traversata del deserto” nel 2014, e “L’erba di vento” nel 2016. Ma anche con le pubblicazioni legate all’attività del Progetto della memoria istituito negli anni Novanta dall’ambasciata italiana a Tunisi.

In che modo la storia vera che è la base di “Lunga è la notte” si inserisce nel tuo percorso narrativo? Segna una continuazione o uno stacco?

RISPOSTA: Il mio percorso narrativo gira intorno al tema della memoria. La storia vera mi ha permesso di creare un personaggio (Mimmo) che ha rimosso tutto il suo passato. Non ha memoria di ciò che avvenne e, per lungo tempo, non vuole averne. È comprensibile, considerato il grave trauma che ha subito. Però, in genere, chi è obbligato a lasciare il proprio paese vive di ricordi che alimentano una forte nostalgia. Insomma, in costoro il passato alimenta (e spesso tiene in piedi) il presente. Ed è ciò che ho incontrato quasi sempre. Raro è invece chi volutamente dimentica o rifiuta il passato tunisino [lo scrittore Gérard Spitéri, franco-maltese-tunisino, intitola un suo romanzo autobiografico “Bonheur d’exil”, ma è un caso unico]. Rispetto alla maggioranza degli esiliati, Mimmo ha un comportamento anomalo. M’interessava indagare questo aspetto. Quando ho cominciato a scrivere, ho assunto un impegno con me stessa: dare voce a chi non l’ha mai avuta. I primi due romanzi sono autobiografici perché l’urgenza di raccontare la mia esperienza (che poi è simile a quella di tanti) si è imposta. Poi ho cominciato a “navigare” fra le storie. Storie che ho sentito durante la mia infanzia, o raccontatemi nel tempo. È come se me le avessero consegnate perché le diffondessi. So di dare vita a un’umanità ignorata dalla storia ufficiale. È una responsabilità ma nello stesso tempo mi diverte e mi riempie di piacere. Inoltre rappresenta un po’ una sfida poiché i materiali sono di difficile reperimento, sparpagliati negli archivi di Tunisia, Francia e Italia, e devo lavorare molto creando di sana pianta situazioni e personaggi. “Lunga è la notte” si colloca in questo filone della memoria e della ricerca di dignità.

Nella premessa al libro fai una differenza fondante per la tua storia tra la verità dei fatti che, affermi, giace in un qualche archivio polveroso della Gendarmeria nazionale francese, e la verità dei personaggi che vivono all’interno del romanzo e a essa soltanto rispondono. Ma quale rapporto intimo lega tra loro la verità dei fatti e la verità dei personaggi in “Lunga è la notte”? E qual è il ruolo di te come scrittrice per gestire le due verità?

RISPOSTA: La verità dei fatti in sé è schematica: una donna è uccisa per motivi misteriosi. Poi si crede di trovare l’assassino che a sua volta viene ucciso. Questione risolta per le autorità. In questo schema si muovono i personaggi che sono tutti frutto della mia fantasia. La loro verità sta nella coerenza: sono sempre coerenti al loro mondo, alla loro psicologia, aderiscono totalmente alla storia e ad essa soltanto rispondono. Certo, lasciando liberi i personaggi di percorrere la loro strada, mi allontano dalla verità storica. Ma questo mi appare secondario rispetto a quello che ho voluto esprimere. Ho fatto questa scelta per vari motivi: uno è preservare la privacy dei discendenti delle persone che hanno vissuto questo evento. Un altro era un obiettivo ambizioso: m’interessava capire come si muove nella vita una persona che ha assistito a un atto così violento come l’omicidio della propria madre. Inizialmente non ero in grado di prevedere l’evoluzione del personaggio Mimmo che si è costruito da sé man mano che la storia prendeva corpo. In sostanza, il fatto reale è stato l’humus che ha dato corpo a Mimmo. Il mio ruolo è stato quello di dargli spazio, lasciarlo crescere dandogli tempo.

Se Mimmo è il personaggio cardine, che con la sua memoria riavvolge i fili del racconto, sono le donne quelle su cui è maggiormente concentrata l’attenzione narrativa. Inevitabilmente la vittima, che assedia il lettore per la tragica fine, ma ancora di più le due donne, che in quella lunga notte e nei giorni successivi, si fanno carico delle incombenze, della cura e anche di cercare di dare un senso con il chiacchiericcio delle loro confidenze e l’acume delle riflessioni: Tanina, la cognata della vittima, e ’Nzula, la vicina di casa, detective in embrione e sagace pensatrice. Due donne giovani che cercano di razionalizzare il dolore e di dare spiegazioni all’accaduto, arrivando molto vicine alla verità.

Che cosa rappresentano queste due donne non solo nell’economia del racconto di “Lunga è la notte” ma anche all’interno della comunità italiana in Tunisia di cui preservi la memoria con i tuoi scritti?

RISPOSTA: Le donne sono elementi fondamentali non solo in questo romanzo. Nel precedente, “L’erba di vento”, protagonista è una donna emarginata ma tenace al punto da raggiungere finalmente l’obiettivo che si era posta. Direi che ho vissuto in un ambiente in cui le donne sono la forza portante dell’organizzazione famigliare e del piccolo mondo in cui vivono. D’altronde non avrebbero potuto seguire i loro uomini in luoghi così lontani, spesso desertici. Sono donne forti, delle vere pioniere che non temono nulla. Forse sottostanno alla cultura patriarcale dominante, ma da mediterranee, sanno perfettamente di avere un ruolo di primo piano in certi particolari contesti. D’altronde Tanina stessa lo dice a un certo punto: agli uomini spetta il compito di andare dai gendarmi e dal prete, a noi il resto. Ruoli diversi, ma non per questo quello delle donne è subalterno.

“Lunga è la notte” scorre su due binari paralleli, convergenti in una cassetta di fotografie, dove sono racchiusi odori, sapori, ricordi ed eventi che Mimmo spera di poter riannodare dopo averli a lungo allontanati da sé. Senza svelare nulla dell’intrigo e della soluzione che svela il movente e l’assassino, cosa spinge Mimmo a tornare a quella lunga notte del 1936 riattivando la memoria attraverso le fotografie? Perché non si accontenta della verità ma vuole rivivere il passato? Cosa ha lasciato indietro?

RISPOSTA: Un incontro all’ospedale, non si sa quanto reale o soltanto immaginato, è ciò che spinge Mimmo a riprendere in mano la propria vita, partendo proprio da quell’evento terribile avvenuto quando lui era bambino. E può farlo solo attraverso le foto, unico legame con quel passato rimosso. Mimmo non ha una verità, non guarda mai indietro. La sua verità sta nel vivere quotidiano: modesto, quasi claustrofobico, ma rassicurante. Non vuole rivivere il passato. In qualche modo vi si sente costretto dall’incontro di quel giorno. O forse semplicemente è giunta l’ora dei nodi da sciogliere, dei bilanci finalmente da fare. E quella specie di bilancio, per quanto claudicante, gli fa intuire (temo non abbia il tempo di capire veramente) di aver attraversato la vita in una sorta di apnea. Congelata ogni emozione, ogni speranza di cambiamento o di evoluzione, la sua vita è trascorsa in una gabbia protettiva, e di quanto questa fosse stretta nemmeno si è accorto. E quell’incontro all’ospedale, elemento scatenante di questa ricerca, è avvenuto effettivamente? Oppure è tutto frutto di una mente sempre più smarrita? A questa domanda credo sia meglio rispondano i lettori.

Siamo arrivate all’ultima domanda.

Tunisia-Italia; l’infanzia e l’età adulta. Sono queste le coordinate spaziali e temporali del tuo romanzo. Possono essere anche intrecciate tra loro in una sorta di significato metaforico: la Tunisia è l’infanzia perduta e l’Italia il mondo dell’età adulta per i tuoi personaggi? Di quale terra si sentono figli o la loro condizione è altra?

RISPOSTA: Potrebbe la Tunisia rappresentare metaforicamente l’infanzia e l’Italia il mondo adulto. Potrebbe, e sono convinta che molte lettrici e molti lettori che non hanno vissuto l’esperienza dello sradicamento e del ri-radicamento daranno questa chiave di lettura. Ma non credo che sia così. Perlomeno la questione è molto più complessa. Lo sradicamento dalla propria terra è molto più di un prima e un dopo. Non vi è, nei miei personaggi, in me, continuità tra quello che fu (l’infanzia) e quello che è ora (l’età adulta). Vi è invece una frattura in cui il prima è totalmente altro da quello che si vivrà dopo. L’impegno costante è ricucire queste due vite per farne una sola, colmando in qualche modo il vuoto fra le due. Io ci sono riuscita grazie alla scrittura. Scrivere – e, in particolare scrivere di questa esperienza – mi ha permesso di ritornare nei territori dell’infanzia per riappropriarmene e, di conseguenza, di completare armoniosamente il mosaico che appariva in frantumi. Attraverso la scrittura creo un “terzo luogo” che non è Tunisia e non è nemmeno Italia, ma forse è entrambe. Ma Mimmo, il protagonista, non è nemmeno lontanamente sfiorato da queste preoccupazioni preso com’è dal bisogno di recuperare il ricordo della madre. Quando mi si chiede di quale terra mi sento figlia, di solito rispondo che se l’Italia è la mia patria, la Tunisia è la mia matria. In quest’ottica si potrebbe davvero cogliere una dimensione metaforica nel percorso di Mimmo che ha perso la madre e la matria e non riesce più a ritrovarle, nemmeno nel ricordo.

 

Il link all’intervista su Giuditta legge: https://bit.ly/3hbEkws


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