L’intervista a Ilario Carta su L’Unione Sarda
INTERVISTA Cold case. Ilario Carta ricorda la vicenda di otto persone trucidate Cento anni fa la strage di Jerzu e ora attraverso un romanzo spunta una nuova possibile verità
Poco meno di un secolo fa, come in un film horror un fiume di sangue inondò una piccola abitazione di Jerzu, dove vennero assassinate otto persone: uomini, donne, bambini, trucidati in modo barbaro. Uno dei delitti più efferati mai consumatisi in Sardegna, del quale narrarono per decenni i cantastorie sardi nelle loro quartine.
Era la notte tra il 20 e 21 gennaio 1925 e le vittime, il falegname ed esattore postale Giovanni Boi detto Giuanniccu e la sua famiglia, erano da poco rincasati al termine dei festeggiamenti in onore di San Sebastiano. Dello scempio venne incolpato un parente della vittima, sbattuto in cella insieme ai suoi complici.
Caso chiuso? Non per lo scrittore Ilario Carta, che ha rievocato quell’orribile vicenda (nel libro diven- ta l’eccidio di Saspendula) nel suo ultimo romanzo “Espiazioni collettive” (Edizioni Arkadia).
Analizzati i documenti processuali e ascoltate le voci del paese, l’autore getta una luce nuova su quei fatti lontani.
Carta, cosa accadde in quella gelida notte di gennaio?
«Dopo aver trucidato Boi, i sicari si avventarono su sua moglie e sua madre, Angelina Melis e Domenica Mura. Poi fu la volta della sorella del falegname, Virginia, e delle figlie Assunta, Luigina e Amelia. Per ultimo uccisero Mario, di appena sedici mesi. Tutti aggrediti a colpi di mazzuola e finiti a coltellate nella casa di Funtan’e susu».
Chi venne incolpato della strage?
«Dopo la scoperta dei cadaveri da parte del suocero di Giuanniccu Boi, i sospetti si appuntarono sul cognato di quest’ultimo e su quattro suoi amici. Le motivazioni? Per gli inquirenti, tutto seguì a un alterco che la vittima e suo cognato ebbero poco tempo prima per questioni lavorative».
Che ricaduta ebbero quei tragici fatti sulla comunità?
«Quella di Jerzu è una realtà pacifica, di solide tradizioni contadine. Violenza e odio non sono di casa da quelle parti. Quel delitto efferato fu uno shock per tutti, un’ombra che aleggiò sul paese per generazioni, ma nessuno cercò vendetta né si innescò la spirale perversa della faida. Semplicemente, si smise di parlarne e si voltò pagina tutti insieme. La festa di San Sebastiano, per rispetto ai morti, fu abolita e mai più ripristinata».
Il verdetto fu esemplare.
«Ciascuno degli imputati subì la condanna a otto ergastoli. Tuttavia, dall’analisi degli atti del processo – rapido, durò solo cinque mesi – emergono zone d’ombra. Il movente è debolissimo, le testimonianze numerose e oltremodo discordanti, l’atteggiamento dei giudici sbrigativo. Decenni dopo quella notte di sangue, i discendenti delle famiglie coinvolte ancora giocavano insieme a pallone la domenica. Il paese non aveva dimenticato, certo, ma aveva da subito assolto quei cinque poveri diavoli i cui nomi ormai pochi ricordano».
Ma allora, chi è stato?
«I colpevoli ufficiali ci sono, per la legge il caso è chiuso. Io però propongo una soluzione diversa, suggerita dalle carte giudiziarie. Boi all’epoca era l’esattore del servizio postale di Jerzu, l’unico a conoscere in anticipo gli orari del treno che trasportava i denari dal paese fino a Cagliari. Ebbene, i documenti accennano a due assalti a questo treno: soldi spariti, malviventi ignoti. E se lo stesso Boi avesse pianificato tutto, simulando le rapine? E se avesse poi tenuto tutto il bottino per sé, così da scatenare la spietata vendetta dei suoi complici? Certo, è un’ipotesi da romanzo, ma a mio avviso regge».
Cent’anni dopo, cosa resta dell’eccidio di San Sebastiano?
«Nel libro racconto del lacerante rimorso che turbò per tanti anni il sonno delle donne e degli uomini di Jerzu, i quali si sentirono tutti, nessuno escluso, coinvolti personalmente, mentre oggi evitano di tornarci su. È un po’ come le vecchie ferite: guariscono, ma se le sfiori, anche a distanza di tempo, fanno ancora male».
Fabio Marcello