“Come una barca sul cemento” sulla Gazzetta d’Alba
Il noir all’albese è Saporito
In una barca ricoverata in un rimessaggio: a dormirci sottocoperta non è il proprietario, ma il guardiano notturno, «completamente vestito sopra il letto intatto», chiuso nell’imbarcazione come in un sarcofago. L’uomo è il narratore, e racconta in seconda persona singolare: si parla, dunque, e vede se stesso, che sta dormendo.
Sembra di tornare, ancora una volta, dalle parti di Viale del tramonto, in questa sequenza che apre il nuovo romanzo di Roberto Saporito, uscita da pochi giorni per i tipi di Arkadia, che sarà presentato venerdì 29 novembre alle 21 alla libreria La torre. Lo scrittore albese l’ha intitolato Come una barca sul cemento, quasi che dall’immagine stessa, del suo immediato potenziale metaforico, abbia fatto scaturire tutta la storia. Che è quella di JJ, ex professore universitario cinquantenne di letteratura americana finito in secca nella vita, in fuga da un “fatto” che a Roma l’ha costretto alle dimissioni: ora è tornato – ma da clandestino, da fantasma – nei suoi luoghi di origine. Non c’è una casa ad attenderlo, un passato familiare e definito; al massimo un vecchio compagno di scuola che, nelle pieghe di molti affari, forse non troppo puliti, possiede anche un deposito di barche da sorvegliare la notte.
È proprio il passato che non c’è, o meglio non c’è stato, il pretesto che fa decidere il protagonista a muoversi, a spingersi a caccia (con la rete di Facebook) in una metodica quanto illusoria ricerca delle occasioni perdute, sotto la forma delle ragazze lasciate scappare da giovane, e oggi chissà? È un tentativo di rianimazione il suo, il suo, che gli costerà parecchio, una consapevole follia: «Gettarsi nel passato per sopravvivere al presente probabilmente non è una buona cosa. Però è l’unica che ti è venuta in mente, l’unica che sta dando un senso, forse anche sbagliato, sicuramente sbagliato, alle tue giornate. Chi sei tu per voler togliere senso alle tue giornate?»
In questa autoironica domanda sembra bene rappresenta l’essenza del personaggio emblematico di Saporito, che riflette sui meccanismi delle cose ma non ha presa sulla vita. Saporito è spesso catalogato come autore noi: e di certi ambienti, luci, figure del noir (rivisitate secondo i suoi modi e le sue predilezioni) si affacciano, con maggiore o minore frequenza, sulle pagine. Ma sotto i segni del genere, c’è sempre lo studio, ogni volta variato e con esiti diversi, di questo carattere, dei suoi contatti con la realtà: una realtà in «fai le cose, e i veri perché si perdono nella nebbia densa della tua mente».
In questa nebbia, sembra restare qualcosa da coltivare, qualcosa per cui ugualmente procedere: l’illusione di recuperare la vita nel rapporto sessuale finalmente consumato con le antiche ragazze; la bugia necessaria della letteratura, amata e con amore insegnata – e con successo, di cui naturalmente il professore non sa darsi spiegazione.
Il racconto come sempre è costruito con una grande precisione di ritmo e di montaggio, nella misura di poco più di cento pagine. Vi sono contenute, tra le altre cose, molte considerazioni sulla scrittura e sulla letteratura, sull’editoria e sulla sua deriva consumistica; e sulla «condizione del lettore puro (…) l’unico che si gode veramente il libro che legge». Nel corso delle sue riflessioni JJ non manca di rimarcare «l’immenso potere delle parole», che possono rivelare l’invisibile, e pure «rovinare sempre tutto». È lo stesso potere «sublime e forse, al tempo stesso, mendace» del mare.
Edoardo Borra