“L’anno che Bartolo decie di morire” su Convenzionali
“L’anno che Bartolo decise di morire”
L’anno che Bartolo decise di morire, fu l’anno in cui Lucio venne seppellito
L’anno che Bartolo decise di morire, Valentina Di Cesare, Arkadia. Bisogna un po’ morir per poter vivere, e arrivederci amore ciao, le nubi sono già più in là, recitano i versi di una celebre canzone che è diventata oggetto del dramma per Moretti in una sua famosa e riuscita opera e che è evocata anche nel titolo di un bel – come al solito – testo di Carlotto: Bartolo, il protagonista del brillantissimo, struggente, straziante, emozionante, commovente fino alle lacrime, perché molto difficilmente chi legge non si sentirà di ritrovarsi come dinnanzi a uno specchio rispetto alla pagina, scritto di Valentina Di Cesare, che parla all’anima con voce piena, è un uomo buono. Semplice. Puro. Che ha il dono dell’empatia, che si preoccupa sempre per gli altri e che non vuole che gli altri si preoccupino per lui, che si imbarazza, che dà prima di ricevere, che soffre di una depressione latente che per pudore non confida ai suoi amici, tutti giustamente presi dai loro problemi, ognuno dai suoi, che ama da sempre, con cui è cresciuto, perché si vergogna, pensa che in fondo non ha diritto di lamentarsi. I buoni, si sa, si mettono sempre da parte. E si sentono in colpa. Perché sperano che il resto del mondo abbia la loro stessa capacità di accorgersi prima, senza che siano necessarie parole. Forse, però, significa pretendere troppo, da sé e dagli altri. Maestoso.
Gabriele Ottaviani