“La figlia di Shakespeare” su L’Unione Sarda
“La figlia di Shakespeare” di Paola Musa ci porta nel mondo del teatro
La superbia dell’attore
Di che l’animo vostro in alto galla/ poi siete quasi antomata in difetto/ sì come vermo in cui formazion falla? Così, nel Canto X del Purgatorio, Dante Alighieri ammonisce i superbi, costretti a incedere curvi sotto il peso di enormi macigni, contrappasso di una vita spesa nell’affanno di svettare su tutto e tutti, a qualunque costo.
Lo stesso peccato macchia l’anima di Alfredo Destrè, attempato attore di teatro ormai in disarmo, protagonista di “La figlia di Shakespeare” (Arkadia, 124 pagine, euro 14), l’ultima fatica letteraria della scrittrice, sceneggiatrice e poetessa di Sardara (ma da anni residente a Roma) Paola Musa.
Il ritorno in scena
Nel romanzo, ambientato nella Roma dei nostri giorni, Destrè accetta l’ardua sfida di risollevare le sorti del Global, il principale teatro cittadino, prossimo dalla chiusura. Attingendo all’esperienza di tanti anni e con ritrovata grinta, l’ex attore riesce nell’impresa, ottenendo l’unanime plauso di pubblico e critica. A un passo dalla gloria, la sua sorte segna però una battuta d’arresto per mano di Enrico Parodi, membro della compagnia teatrale giovanile, per nulla convinto della moralità e degli effettivi meriti artistici del maestro Destrè. Lo accuserà infatti di essersi impadronito senza scrupoli delle idee dei colleghi più giovani, principianti tanto entusiasti quanto ingenui.
Tutti i peccati
Spiega Musa: «Per dirla con Sant’Agostino, l’invidia e la superbia sono i peccati più gravi in quanto tipici del demonio, assai più di gola e lussuria. Nel mio libro, Alfredo Destrè è uno che non ha imparato nulla dalla sublime arte che pure ha praticato a buoni livelli. Rimpiange la ribalta degli anni d’oro e passa i suoi giorni a brigare per ottenere, finalmente, quello che ritiene il giusto tributo alla sua carriera di attore shakesperiano. Di fatto, la boria e la spocchia che lo rendono tanto insopportabile servono a mascherare, maldestramente, la sua mediocrità e l’incapacità di prendere atto del corso naturale degli eventi».
Costruzione dei dialoghi
Chi pare aver interiorizzato la lezione del Bardo dell’Avon è proprio l’autrice. Vivacemente evocativa anche in virtù dell’accurata scelta dei vocaboli (indispensabile nel restituire con credibilità le atmosfere e i meccanismi dell’universo del teatro), la scrittura di Paola Musa si esprime al massimo nella costruzione dei dialoghi: numerosi, serrati, un botta e risposta quasi senza pause volutamente sul solco della drammaturgia teatrale classica.
Conflitto tra generazioni
Ancora, di shakesperiano per ampiezza e profondità c’è la selezione dei temi portanti. La superbia e la prevaricazione del forte sul debole, ma non solo. L’autrice indaga il conflitto generazionale, coi più anziani che, pur consci di aver già dato il meglio e con tanti trofei in bacheca, si ostinano a non lasciare il palcoscenico (o la poltrona, la scrivania, è lo stesso) ai giovani, preparati e scalpitanti. «Se possibile, Destrè fa anche peggio: con cinismo, trae linfa vitale dai progetti e dalla creatività di artisti più freschi e al passo coi tempi rispetto a lui, perennemente ripiegato su un passato che non tornerà», puntualizza Musa.
Ancora, l’autrice denuncia la difficoltà nel fare arte di livello nell’epoca che viviamo, dove tutto si risolve nella disperata ricerca – nel teatro come nella musica, passando per la letteratura e le arti figurative – dei riscontri al botteghino in un costante, demoralizzante gioco al ribasso dal punto di vista della qualità della proposta.
E la figlia di William Shakespeare, chi è? «Per scoprirlo bisogna arrivare all’ultima pagina. Al coup de théâtre, se volete».
Fabio Marcello