Tessa, per caso
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Porto di Ravenna
La nave portacontainer proveniente da Shenzhen è ancorata al Terminal SAPIR. Imponenti gru stanno lavorando senza sosta dalle prime ore della notte. Il dirigente che gestisce le operazioni a terra parla fitto con gli uomini sulla nave con un walkie-talkie. Si fa confermare il numero del container che stanno agganciando, controlla di nuovo i suoi fogli, poi dice qualcosa all’uomo pelato vicino a lui, che prende il cellulare e invia una chiamata. «Scende l’ultimo», dice. La motrice verde arriva veloce e si posiziona nel punto preciso dove verrà caricata. Il container si sposta lento nel cielo, i cavi che lo sorreggono sembrano sottilissimi. L’uomo pelato prova a immaginare l’effetto che farebbe vederlo schiantare a terra da quell’altezza. Il container atterra preciso sul pianale del tir.
Appena assicurato il carico, il bestione si muove verso l’uscita. Nessuno lo ferma, nessuno controlla. L’uomo pelato dà una pacca sulla spalla al dirigente e si allontana soddisfatto. Sale sulla sua macchina e segue il trasporto.
Uscita dal porto, la motrice verde si infila dentro un capannone dismesso della zona industriale; qui ci sono tre furgoni in attesa e uomini rapidi come formiche operose che tolgono i sigilli al container e scaricano parte degli attrezzi agricoli che occultavano bancali carichi di fusti blu imballati con chilometri di cellophane, come enormi rimanenze di cibo da mettere in frigo. Non c’è etichetta, nessun segno di riconoscimento, anche se esiste: è un piccolo ideogramma in rilievo sulla fascia del tappo di ogni fusto, ma si vede solo se si sa dove cercare; contengono principi attivi illegali che verranno usati per creare Dormex, Cycocel e Adrop, pesticidi vietati in Italia e in Europa perché cancerogeni per l’uomo e devastanti per l’ambiente. I fusti blu vengono stivati nei furgoni che partono ognuno verso la propria destinazione, lungo autostrade e stradine interne, seguendo auto civetta apripista. Gli attrezzi agricoli tornano nel container, vengono rimessi i sigilli; il tir riparte per la sua destinazione legale, le formiche si disperdono nella zona industriale. Dopo due ore il capannone è di nuovo vuoto.
L’uomo pelato è seduto in macchina, tiene il motore acceso e l’aria condizionata al minimo. È soddisfatto, ha un mezzo sorriso sulla bocca mentre tocca il nome “Dottore” nel registro delle chiamate effettuate. Risponde al secondo squillo.
«Allora?»
«La merce è in viaggio.»
«Di già?»
«Non c’è stato nessun problema. Tutti zitti a lavorare.»
«Hai sistemato le cose, quindi.»
«Non si ottiene niente a picchiarli, questi sono abituati al dolore. Ma se ne prendi uno e ci spari in testa, gli altri non rompono più i coglioni.»
Silenzio.
«Basta non creare problemi più difficili da risolvere.»
«Dottore, ora gli può dire di buttarsi sotto un treno e questi lo fanno.»
«Intendevo per il corpo, non è che…»
«(ridacchia) E chi lo ritrova!»