“La vita schifa” su Letto, riletto, recensito!
La vita schifa di Rosario Palazzolo: un libro senza fine
Rosario Palazzolo
La vita schifa
Arkadia Editore
Gli evergreen
Le recensioni in LIBRIrtà
Un cerchio perfetto. Nella mia testa. Rifletto e sposto l’attenzione dalla mente al corpo. Scendo giù sul mio viso. La bocca. La bocca ha formato un cerchio. Perfetto? No. Mi accorgo che è più simile a un ovale incompiuto. Meraviglia. Lo stupore mi accorgo che è arrivato non alla fine del libro, ma già dopo cinquanta pagine, il mio corpo mi aveva segnalato qualcosa, una vibrazione, un incanto. Le parole di Rosario Palazzolo. È stato come andare a sbattere contro un muro. Non improvviso perché inaspettato, è stato come vedere una scena al rallentatore, alla fine è arrivato l’urto in un’accelerazione improvvisa. E mi ha lasciato un segno. Penso ci vorrà del tempo per eliminare questo solco. Spero che questa impronta non venga mai cancellata. Un flusso di parole che circolano e spingono per restare. Parole che indossano un abito perfetto. Una lingua scomposta e ricucita in modo assoluto da risultare musica. Non esiste, pur nella complessità di questa lingua, alcun ostacolo alla lettura, è tutto maledettamente omogeneo e scorre fissandosi sul senso di ogni cosa. Poi è successa una cosa strana. Mancavano sessanta pagine. Ho cominciato a centellinare la lettura. Avevo il timore di finire. Non volevo che questo libro avesse una fine, che questa lingua, queste parole terminassero. Volevo ancora sentire ernesto scossa pensare, parlare. La trama, dovrei adesso concentrarmi sulla trama. Ma è davvero necessario? È importante? Non credo. In questo libro l’ultima cosa a cui dovete pensare è la trama. Sia chiaro non è un inutile orpello, ma è strettamente funzionale e montata e rimontata solo ed esclusivamente per seguire il pensiero del protagonista. Sappiamo già dalle prime pagine quello che sta per succedere in un’anticipazione che rivela e stordisce per il prosieguo della narrazione. Perché? In realtà si va da un punto “a” a un punto “b” finale, siamo sicuri ci sia un finale? In mezzo ci sono varie stazioni, il tutto narrato, con l’espediente delle foto, in un continuo andare avanti e indietro per raccontarci i brandelli della sua vita. Potrei essere più preciso? Sì, ma toglierei la soddisfazione al lettore di sentire la storia dalle parole dello stesso protagonista. Perciò riassumo: ernesto scossa, lo zio, l’altro zio cartapecora, la madre, il fratello, il lungo, la famiglia, il padre, il nonno, ammazzamenti, lui bambino, lui ragazzo, lui grande, le foto, le manie, gli oggetti, le ragazze ficcare, Pisa, apecchio, i nomi minuscoli katia nadia? Apecchio, i sogni, ernesto, il bar, il primo, il secondo e poi ancora altri, le letture, padre pio, stare fuori, pensare, e parlare, e tante altre cose. Ancora, potrei dire la stupidità del male, parafrasando il titolo forse più famoso di Hannah Arendt, potrei usare queste parole, ma decido per essere più pop(olare) e grido insieme al protagonista Corri ernesto Corri! In una fuga nel bosco che è semplicemente perfetta. Ma siamo sicuri che di stupidità si possa parlare? Il sottile grossolano e caleidoscopico pensiero di ernesto ci avvolge completamente lasciandoci basiti di fronte a delle verità che sembrano soggiacere a tutti noi ma che non sappiamo in realtà tirare fuori. Infatti, avrei voluto che continuasse a parlarmi, a raccontare, qualsiasi cosa, anche una ricetta, avrei voluto sentirgli parlare delle nostre vite, del tempo in cui viviamo, del tempo in cui ha vissuto e vive ancora. In realtà ci ha parlato molto delle nostre vite e del tempo in cui viviamo, ma a questo punto avrei voluto fargli tante domande e avrei aspettato le sue risposte come davanti a un oracolo laico che dispensa vita. Ci troviamo di fronte a un gioiello, un capolavoro? A questa domanda non saprei rispondere, non credo di avere le competenze giuste, il coinvolgimento emotivo è stato forte e il mio giudizio potrebbe essere in qualche modo influenzato dalla perfezione della scrittura. Un consiglio lo voglio dare: correte insieme a Ernesto Scossa, correte forte, tenete il suo passo, non cedete neanche di un centimetro, anche con il fiatone, con il dolore al fianco che vi dice di fermarvi, stategli dietro, sentitelo respirare, affannarsi, pensare amare distruggere e rifare, sentite i suoi pensieri, stategli accanto e non abbandonatelo mai.
P.S.
Riporto fedelmente una conversazione tra Martino Ciano, giornalista e scrittore, e Gianni Barone, traduttore, avvenuta sotto al mio post in cui condividevo la lettura del libro.
Martino Ciano: “Bel libro. Soprattutto lo stile”.
Gianni Barone: “E l’invenzione del linguaggio”.
Martino Ciano: “Sì, molto neo-gaddiano… (me lo fate passare questo termine?)”.
Gianni Barone: “Credo proprio di sì e io una volta dissi che se il compianto Consolo avesse potuto leggere il libro di Palazzolo lo avrebbe apprezzato proprio per quel linguaggio espressivo forte di calchi e recuperi di lessemi riadattati che lui amava tanto”.
Martino Ciano: “Sì, infatti, bisognerebbe rivalutare tantissimo queste cose”.
Gianni Barone: “E sono proprio le cose che trasformano una normale narrazione orizzontale in letteratura”.
«Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova.»
Gianfranco Cefalì
Il link alla recensione su Letto, riletto, recensito: https://bit.ly/3vgWRjg